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La strana storia di Dmitry Sklyarov, programmatore incompreso (e incarcerato)

20 Agosto 2001

La strana storia di Dmitry Sklyarov, programmatore incompreso (e incarcerato)

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Crittografia e copyright al centro di una controversia legale che rischia di trasformarsi in incidente internazionale

Dmitry Sklyarov, 26 anni, origine russa, padre di due bambini, professione programmatore con Ph.D. in corso sul tema della crittografia. Recentemente aveva collaborato, per Elcomsoft, l’azienda russa presso cui lavora, alla realizzazione del software denominato Advanced eBook Processor (AEBPR). Il programma consente la trasposizione del formato sicuro eBook messo a punto da Adobe, nel più popolare PDF (Portable Document Format), sempre di proprietà Adobe ma in libera distribuzione come reader. Da notare come il software, pur superando le restrizioni tecniche insite nel programma, funzioni soltanto con eBooks regolarmente acquistati sul mercato. Viene impiegato ad esempio da persone cieche altrimenti impossibilitate a leggere i manuali in PDF oppure da quanti vogliano trasferire il file eBook da un computer ad un altro (al pari di quanto avviene da un CD audio spostato dal lettore di casa a quello portatile o in macchina). Fin qui nulla di strano, giusto? Eppure lo scorso 17 luglio Dmitry Sklyarov è stato arrestato dalle autorità statunitensi proprio per via di quel prodotto. L’accusa: aver progettato e diffuso un software capace di superare le misure di protezione sul copyright. Nel frattempo rilasciato su cauzione, il programmatore rimane tuttavia impossibilitato a rientrare in Russia, in attesa di ulteriori indagini delle autorità USA. Una vicenda a dir poco inquietante che ha rinfocolato le mai sopite polemiche sul copyright (in particolare il famigerato Digital Millennium Copyright Act), riattivando altresì l’attivismo delle comunità open source e high-tech.

“Free Dmitry Sklyarov! Let Dmitry go home!” questo l’urlo che nelle scorse settimane ha campeggiato su vari siti web, da quello della storica Electronic Frontier Foundation al puntuale Salon all’omonimo spazio attivato per l’occasione, freesklyarov.org. Lo stesso grido è echeggiato nel corso di proteste rapidamente organizzate in varie città statunitensi, prima di tutto per le strade di San Francisco e San Josè. In particolare quest’ultima lo scorso 6 agosto ha visto radunarsi un centinaio di attivisti in attesa della decisione della corte locale sulla richiesta di rilascio presentata dai difensori. Richiesta accolta, seppure a fronte di una cauzione di 50.000 dollari, prontamente versata da Elcomsoft, e senza la restituzione del passaporto, restringendo i movimenti di Sklyarov alla Bay Area di San Francisco dove il programmatore ha trovato pronta ospitalità. “Oggi abbiamo ottenuto un importante successo, ma è soltanto il primo passo,” ha dichiarato fuori dell’aula di giustizia di San Josè Joseph Burton, il legale di Sklyarov. “Non esser più costretto ad indossare la divisa arancione dei carcerati è già un buon risultato.” Il prossimo appuntamento è fissato per il 23 agosto, con un’audizione giudiziaria prima del processo vero e proprio.

La ricostruzione dell’accaduto è presto fatta. Invitato in quel di Las Vegas per tenere una lecture nel corso di un meeting hacker, lunedì 16 luglio il programmatore russo si è visto circondare dagli agenti che lo hanno tratto in arresto. Il Dipartimento di Giustizia statunitense era stato tempestivamente allertato del suo arrivo da una ‘soffiata’ di Adobe. Quest’ultima avrebbe agito a tutela del proprio brevetto e-Book, visto che il software di cui sopra, Advanced eBook Processor, risulta tuttora illegale negli USA al contrario di quanto avviene in Russia, dove si trova regolarmente in commercio tramite il sito web dell’azienda produttrice.

In pratica la questione ruota intorno alle controverse disposizioni previste dal Digital Millennium Copyright Act, nel quale viene considerato crimine grave (‘felony’) la diffusione di ogni software che tenti a qualunque scopo di superare le protezioni sul copyright. Le speranze di una buona risoluzione giudiziaria sono comunque in crescita, grazie al successivo della denuncia da parte di Adobe, sotto la pressione dei cyber-attivisti statunitensi. Insieme a innumerevoli email di protesta contro la stessa azienda e siti che incitano all’aperto boicottaggio (vedi boycottadobe.org), le manifestazioni di piazza hanno trovato spazio anche in numerose altre città, tra cui Boston, New York, Washington DC. Online circola una petizione popolare da firmare, insieme agli indirizzi governativi su cui far pressione, a cominciare da quello del General Attorney John Ashcroft, il quale pare molto pervicace nel perseguire ‘reati’ di questo tipo, grazie all’apporto di nove unità operative all’uopo istituite. Da non dimenticare infine l’interesse dell’informazione mainstream, con articoli sul New York Times e reportage sulla radio pubblica nazionale (NPR).

Qualcuno non ha mancato di parlare di ‘guerra fredda dell’epoca digitale’, e in effetti la faccenda — in sé piuttosto elementare — rischia di trasformarsi in un caso internazionale d’altri tempi. È vero che negli USA temi quali crittografia e copyright restano pur sempre assai controversi, con legislazioni a dir poco ancora approssimative. Come recita la press-release della EFF, “siamo di fronte a una traversia giudiziaria, dove per proteggere gli interessi dell’industria del software a farne le spese sono le libertà civili più basilari. Ciò va diventando un incidente internazionale, con accademici stranieri che minacciano di abbandonare programmi e conferenze di ricerca basati negli USA.” Già perché, riprendendo Salon, l’errore forse più grosso commesso da Sklyarov è stato quello di metter piede oltreoceano, pur conoscendone le ristrettezze legislative. Secondo le quali chiunque metta a nudo le debolezze sulla sicurezza di un software o consenta di riconvertirne il contenuto viene trattato da criminale anziché come si converrebbe da esperto ricercatore.

Un unico grido: “Free Dmitry Sklyarov! Let Dmitry go home!”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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