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I giornalisti italiani hanno paura dei nuovi media

03 Agosto 2001

I giornalisti italiani hanno paura dei nuovi media

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Da una ricerca in corso presso il Censis sulle trasformazioni della professione giornalistica emerge un diffuso sentimento di paura nei confronti dei new media dei quali si teme "l'effetto potenzialmente sgretolatore"

La chiave di lettura della ricerca sta nella dialettica tra i fattori di forza della professione giornalistica e i segnali di crisi dovuti all’evoluzione in atto. L’elencazione di entrambi, almeno sul piano numerico, li porterebbe ad equivalersi, ma sono i loro effetti qualitativi, e non la dimensione quantitativa, che andranno capiti e interpretati nei prossimi anni.

Sono fattori di forza della professione, così come sono emersi finora:

  • la percezione molto diffusa (68,1%) che quella giornalistica sia una professione importante per la società
  • la convinzione che l’obiettività non sia né un luogo comune né un’utopia, bensì uno scopo da raggiungere (57%) e una costante approssimazione alla verità (28,1%) nell’esercizio del proprio lavoro
  • la grande rilevanza attribuita al talento personale come fattore essenziale per svolgere la professione; ci vuole fiuto (39,5%), curiosità (53,9%) ed equilibrio (28,6%), innanzitutto, e poi, interessante e significativa apertura di un sipario troppo spesso lasciato chiuso, ci vuole un maestro che insegni il mestiere (29,9%)
  • la buona valutazione delle personali prospettive di carriera (44,6%), in ambito professionale, come anche del loro miglioramento (31,4%) in diversi casi
  • la convinzione che il ruolo di una testata giornalistica sia quello, e fondamentalmente quello, di: informare sui fatti (41,7%), spiegarli, farli capire (43,3%), essere un punto di riferimento (35,8%)
  • l’atteggiamento professionale nel presentare i fatti improntato alla cura della fondatezza delle informazioni (72%) e alla capacità di presentare la realtà così com’è, anche nei suoi aspetti più crudi (20,3%)
  • la totale assunzione di responsabilità in merito al problema del rapporto tra media e minori; una questione delicata che nella grande maggioranza dei casi (90,8%) i giornalisti ritengono di poter regolare direttamente senza altri ausili istituzionali o formali
  • il riconoscibile e definito orientamento deontologico nell’indicare una lesione della dignità altrui (74,8%), una caduta di gusto (48,7%) o un errore di valutazione (41,2%) come le cose più gravi che possano professionalmente accadere.

Sono, invece, chiaramente segnali di crisi di trasformazione della professione:

  • le poche (57,4%) o scarse (14,8) prospettive intraviste per i giovani che vorrebbero accedere ai ranghi professionali, o che sono appena entrati e devono costruire il proprio futuro in una situazione di grande confusione evolutiva della professione
  • le previsioni di un mutamento così radicale degli assetti professionali che potrebbe spingersi fino alla modificazione stessa della figura del giornalista, e delle testate, così come sono oggi, ritenendo che crescerà il ricorso ai service esterni (64,8%), e ai liberi professionisti (51,6%), e che una figura più ampia di comunicatore (43,4%) prenderà il posto dell’attuale giornalista
  • la denuncia di un lavoro ormai fatto di troppa scrivania (34,7%), troppa routine (33,9%), e persino troppa attenzione a ciò che accade dentro la televisione (23,7%), piuttosto che a ciò che accade fuori di essa; da giramondo, e ficcanaso in ogni gradino della scala sociale, il giornalista si sta trasformando in un impiegato incollato alla scrivania con gli occhi fissi sui monitor (molto spesso televisivi)
  • la denuncia delle significative carenze di formazione, in primo luogo per la conoscenza delle lingue (71,8%), ma in secondo luogo per la necessità avvertita di una formazione continua (61,3%) su cui poter contare
  • le generalizzate, ma destabilizzanti, incertezze verso le nuove tecnologie
  • e fra queste, la sensazione che le aziende editoriali o non hanno fatto investimenti (11%) in questa direzione, o, se li hanno già fatti, non se ne intravede la strategia (59,3%)
  • la paura della minaccia, definita dirompente (10,7%), dei new media alla propria professionalità (43,9%), la cui forza, a quanto pare, trova un limite nell’effetto potenzialmente sgretolatore delle nuove tecnologie di rete applicate al lavoro giornalistico standard.

Questi sono alcuni dei principali risultati a cui è giunto il primo Rapporto annuale sulla comunicazione in Italia. Il Rapporto è stato realizzato da Censis e Ucsi in collaborazione con otto tra i più importanti soggetti della comunicazione: Mediaset, Mondadori, Omnitel, Ordine dei giornalisti, Rai, Rcs, Telecom Italia, Upa. Ulteriori informazioni sul sito Censis.

L'autore

  • Redazione Apogeonline
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