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Microsoft, storia di un monopolio

10 Aprile 2000

Microsoft, storia di un monopolio

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La vera storia del colosso del software per Pc, dalla nascita del DOS al processo antitrust. Il vero volto del "sogno americano"

Il coro unanime dei media commerciali ha indubbiamente contribuito negli ultimi anni ad alimentare l’ideologia del “sogno americano”, quella falsa visione della realtà per cui in America, la “terra delle opportunità”, anche un semplice lustrascarpe può diventare presidente. Purtroppo le regole del gioco dettate dall’economia di mercato sono ben lontane dall’offrire a tutti le stesse opportunità, e la storia insegna che per diventare presidente degli Stati Uniti ci vogliono almeno i soldi necessari a pagarsi la campagna elettorale.

Osservando la realtà da una prospettiva meno ingenua e più disincantata ci accorgiamo che in genere la ricchezza è una “malattia” ereditaria. Ciò nonostante nell’immaginario collettivo il mito dell’uomo “che si è fatto da sé” continua a persistere, forse perché ci fa piacere pensare che anche noi un giorno potremo diventare miliardari con la giusta dose di bravura, anziché ammettere più onestamente che con tutta probabilità i soldi nelle nostre tasche continueranno a rimanere più o meno gli stessi.

È così che nascono storie e “leggende metropolitane” nelle quali la verità storica si mescola e confonde con la fantasia. I giornali ci hanno raccontato in più di una occasione dei tempi in cui un giovane Berlusconi suonava il sassofono sulle navi da crociera per mettere da parte un gruzzoletto che sarà il primo mattone del suo impero economico. Persino nei fumetti lo Zio Paperone parla delle sue avventure ai tempi della corsa all’oro, quando tutti i suoi averi sono un setaccio ed un piccone, che gli bastano per diventare il “papero più ricco del mondo”.

Un’altro di questi racconti ha come protagonista un ragazzo di nome William, che da semplice appassionato di computer diventa l’uomo più ricco del mondo scrivendo un sistema operativo, un programma in grado di gestire le risorse di un computer. William H. Gates III, per gli amici Bill, è da molti ritenuto un genio dell’informatica, che ha “sfondato” grazie alla sua intelligenza. Gates, inoltre, è spesso erroneamente accreditato come autore di MS-DOS, il sistema operativo che ha preceduto il più recente Windows, mentre il sedicente genio dell’informatica non ha fatto altro che ritoccare il DOS scritto da un altro programmatore e venduto a Gates per un piatto di lenticchie.

Uno sguardo agli scheletri nascosti nell’armadio di casa Microsoft e al modo con cui questa impresa si è affermata come monopolista nel settore dell’informatica e sufficiente per capire che nel caso di Gates è più corretto parlare di furbizia che di intelligenza, e che non va confusa l’abilità informatica con la spregiudicatezza imprenditoriale.

Gennaio 1975: nasce Altair 8800

La carriera dell’uomo più ricco del mondo inizia nel 1975, quando negli Stati Uniti l’informatica inizia a uscire dai centri universitari. Sul numero di gennaio della rivista “Popular Electronics”, spedito al suo mezzo milione di hobbisti-abbonati, appare ALTAIR 8800, il primo personal computer americano, la macchina attorno alla quale nasce la seconda generazione degli hacker: gli “hacker dell’hardware”, che penetrano all’interno dei segreti di Altair per carpire il funzionamento di ogni singolo circuito. Una passione ereditata dagli studenti del MIT, gli “hacker dei mainframes”, che negli anni ’60 avevano domato a colpi di saldatore i primi grandi calcolatori universitari, dei “bestioni” a valvole monopolizzati da “sacerdoti” in camice bianco, la cui autorità veniva puntualmente messa in discussione dalla prima generazione di hackers.

Curiosamente, l’Altair 8800 è il primo caso di “vaporware”: la fotografia riprodotta su Popular Electronics è quella di un apparecchio realizzato ad hoc, assolutamente non funzionante, e passa molto tempo prima che le migliaia di pezzi ordinati vengano consegnati.

Alcuni hacker tra i più tenaci, per venire in possesso del loro Altair, si accampano davanti alla sede della Model Instrumentation Telemetry Systems (MITS), la società che produce Altair sotto la guida di Ed Roberts. Altair è venduto in kit di montaggio, il cui risultato finale è una scatola metallica con pannello frontale composto da una fila di interruttori, che costituiscono l’unico dispositivo di input, e da due file di piccole lucine rosse come dispositivo di output. È basato sul processore INTEL 8080, costa 397 dollari e ha 256 bytes di memoria. Le istruzioni non possono essere memorizzate all’interno dell’Altair, ma devono essere inserite a mano attraverso gli interruttori del pannello frontale ogni volta che il dispositivo viene acceso. Da qui le tipiche piaghe e vesciche sulle dita che caratterizzano gli hacker dell’epoca.

L’homebrew computer club

Il 5 marzo 1975 a Menlo Park, nella Silicon Valley californiana, nel garage di Gordon French si svolge il primo incontro dell’HOMEBREW COMPUTER CLUB, il club degli hacker dell’hardware di cui fanno parte, tra gli altri, Bill Gates, Stephen Wozniack, Lee Felsenstein e molti altri. Le riunioni dell’Homebrew divengono un appuntamento fisso per scambiare pezzi di hardware, idee, programmi, informazioni e progetti. L’Altair 8800 è ovviamente al centro dell’attenzione.

Dopo aver letto l’annuncio su “Popular Electronics”, Bill Gates e Paul Allen, che avevano studiato insieme ad Harvard, telefonano immediatamente a Ed Roberts per proporgli di acquistare il loro interprete BASIC per l’Altair, scritto assieme a Marty Davidoff. È la prima vendita di software della Micro-Soft (a quei tempi c’era ancora il trattino nel nome). In seguito a questa vendita, datata 2 gennaio 1975, i due si trasferiscono ad Albuquerque, sede della Mits, per scrivere un programma in grado di connettere Altair con una unità a disco. A causa del prezzo ritenuto eccessivo, gli hobbisti dell’Homebrew Computer Club iniziano a fare delle copie su nastro del Basic per l’Altair da distribuire gratuitamente.

In seguito al dilagare delle copie “pirata” del Basic per Altair, Bill Gates scrive una lettera aperta agli hobbisti, in cui attacca apertamente la copia non autorizzata. La lettera verrà riportata sul bollettino di febbraio dell’Homebrew Computer Club. L’ argomentazione principale di Gates contro la diffusione incontrollata dei programmi è che questa pratica scoraggia i programmatori, rendendo meno remunerativa la realizzazione dei loro prodotti.

Le teorie di Gates vengono smentite nel 1991, quando la distribuzione libera del sistema operativo Linux diventa l’elemento decisivo che spinge migliaia di programmatori sparsi in tutto il mondo a contribuire con il loro lavoro alla realizzazione di questo sistema operativo, che nel giro di pochi anni diventa il più efficiente e stabile per l’utilizzo su personal computer.

Nel ’77 Ed Roberts viene costretto da difficoltà economiche a vendere la MITS ad un’altra ditta, la PERTEC. Si scatena una battaglia giudiziaria in merito di diritti di proprietà intellettuale del Basic dell’Altair, di cui la PERTEC rivendicava i diritti in seguito all’acquisizione della Mits. Gates ed Allen sostengono invece che il Basic era stato dato solamente in concessione. La questione è portata davanti a un tribunale che dà ragione a Microsoft.

Il sodalizio con ibm e il “furto” del Q-DOS

La grande occasione arriva nel 1980: a luglio Bill Gates viene contattato dall’IBM. A questo incontro ne seguirà un secondo, un mese più tardi, durante il quale Gates firma un contratto di consulenza con Ibm per la realizzazione di un sistema operativo da utilizzare per i futuri PC IBM. Ad agosto Gates acquista per 50.000 dollari dalla Seattle Computer Products un sistema operativo “veloce e sporco”, il Q-Dos, “Quick and Dirt Operating System” che sarà la base del futuro MS-DOS, destinato a diventare uno standard nell’ambito dei personal computer grazie alla potenza economica di IBM e al senso degli affari di Bill Gates. Gates ottiene da Tim Paterson, che aveva realizzato il Q-Dos, un accordo di licenza non esclusivo, che prevedeva la possibilità di rivendere il prodotto. In seguito Microsoft chiuderà il cerchio comprando tutti i diritti della Seattle Computer Products, assumendo alle sue dipendenze lo stesso Paterson, che con un po’ più di furbizia e di fortuna avrebbe potuto sedersi al posto di Gates sulla poltrona di uomo più ricco del mondo.

Il 12 agosto 1981 il primo personal computer della IBM, basato sul microprocessore 8086, fa il suo ingresso trionfale sul mercato dei personal computers. Già dalla prima versione dell’MS-Dos il sistema Microsoft di licenze software obbliga la IBM e i costruttori di PC compatibili a pagare una licenza DOS per ogni singola macchina venduta. Questo rendeva antieconomico installare sui primi PC IBM un sistema operativo diverso da MS-DOS, per il quale si sarebbe pagata un’ulteriore licenza. Un meccanismo di “installazione forzata” che verrà adottato anche negli anni seguenti per tutti i sistemi operativi Microsoft. Anche oggi i rivenditori di computer sono costretti a pagare una licenza di utilizzo Microsoft per ogni unità venduta, anche se non tutti gli utenti finali di computer scelgono di utilizzare MS-Dos o Windows. I rivenditori che non pagano la “tassa Microsoft” su ogni singola macchina non possono usufruire di particolari sconti sulle quantità.

È per questo che il Dos Microsoft si afferma come uno standard nel settore dei PC, nonostante non fosse ne l’unico né il migliore sistema operativo per Personal Computer. Sempre per quanto riguarda le pratiche anticoncorrenziali, gli sviluppatori Microsoft hanno avuto da sempre un vantaggio di parecchio tempo su tutti gli altri rispetto a qualsiasi evoluzione dei sistemi operativi. Chi è tagliato fuori dal ristrettissimo giro del “segreto industriale” Microsoft rischia di vedere vanificati sforzi e ricerche. A questo problema ha cercato di rispondere la filosofia del Free Software, affidando lo sviluppo dei sistemi operativi e delle applicazioni “libere” all’intelligenza collettiva della Rete piuttosto che al protezionismo del segreto industriale.

“Crisi coniugale” tra Microsoft e IBM

Il 20 novembre 1985 Microsoft mette in commercio Windows 1.0, esattamente due anni e dieci giorni dopo la presentazione del prodotto, avvenuta in grande stile e con tutta l’enfasi che contraddistingue le campagne pubblicitarie dell’azienda di Redmond. È l’inizio della “scalata al potere” del sistema operativo più famoso del mondo.

Nel 1989, in occasione del Comdex di Las Vegas, il salone annuale dell’informatica statunitense, gli operatori del settore attendono un annuncio strategico di Bill Gates e James Cannavino, responsabile del settore personal all’interno di IBM. Tutto risale al 2 aprile 1987, quando IBM lancia la sua nuova linea di Personal, i PS/2, dotati di un nuovo sistema operativo, OS/2, frutto di un lavoro congiunto dei tecnici IBM e Microsoft. Da questa alleanza avrebbe dovuto nascere il nuovo standard dei sistemi operativi, e per lo sviluppo di OS/2 gli accordi prevedevano che Microsoft avrebbe messo da parte il suo Windows. Tuttavia Gates decide di tenere aperte entrambe le strade, e di decidere all’ultimo momento se appoggiare OS/2 o Windows. Lo sgambetto a Ibm arriva proprio in occasione del Comdex, con un discorso di Gates che smentisce tra le righe Cannavino, dopo che il manager IBM aveva ingenuamente confermato l’appoggio di Microsoft nell’alleanza per OS/2. Il 22 maggio dell’anno seguente viene presentata la versione 3 di Windows, con una teleconferenza mondiale da tre milioni di dollari, che mobilita seimila giornalisti con grandi schermi installati a Città del Messico, Londra, Madrid, Milano, Parigi, Singapore e Stoccolma.

Il “matrimonio d’interesse” tra il colosso dei mainframes e il nuovo gigante del software giunge al suo capolinea nel marzo 1992. Il mondo dell’informatica è scosso dall’annuncio della rottura dei rapporti commerciali tra IBM e Microsoft. È la fine di un lungo decennio durante il quale Microsoft riesce a imporre i suoi prodotti software come standard “de facto” e “Big Blue” IBM si impone con la sua potenza economica nel mondo dei personal computer, schiacciando Apple e tutte le piccole aziende come Atari, Commodore, Sinclair e Texas Instruments, fiorite grazie al lavoro appassionato dei primi “hacker dell’hardware” ed entrate molti anni prima di IBM nel settore dei personal, ma senza i mezzi finanziari e la spregiudicatezza che hanno caratterizzato l’azione di Microsoft e IBM durante anni di lotta spietata contro ogni forma di concorrenza. Le strade delle due aziende si separano, e nel 1995 il lancio pubblicitario del sistema operativo Windows 95 richiede un investimento di 150 milioni di dollari, mentre Netscape Communications fa il suo ingresso trionfale in borsa, con richieste per 100 milioni di azioni. Due anni più tardi, l’11 aprile 1997, 14 milioni di computer sparsi in tutto il mondo vengono lasciati “orfani” da IBM, che in un comunicato annuncia la fine dei progetti di sviluppo del sistema operativo OS/2.

Le prime indagini antitrust

Nel giugno 1990 la Federal Trade Commission inizia ad interessarsi alle politiche di marketing adottate da Microsoft. L’attenzione della commissione federale è puntata sulla anticoncorrenzialità di alcune pratiche di vendita. In particolare si indaga sulle cosiddette vendite “tie-in”, che legano l’acquisto dei sistemi operativi a quello delle applicazioni software. Un esempio per tutti, l’accoppiata Microsoft Windows – Microsoft Word.

Le avventure giudiziarie dell’azienda di Bill Gates sono solamente all’inizio: nel gennaio 1992 Apple presenta una richiesta di risarcimento per violazione di copyright indirizzata a Microsoft e a Hewlett Packard. La richiesta di risarcimento per Microsoft è di 4.37 miliardi di dollari, più del doppio del miglior fatturato realizzato fino ad allora dall’azienda. L’accusa è relativa all’utilizzo fatto da Microsoft, per la realizzazione di Windows, di alcune tecniche grafiche che fino al 1989 erano una esclusiva della società di Cupertino. Il 6 gennaio 1993 la corte distrettuale della North California, per mano del giudice Vaughn R. Walker, accoglie le mozioni presentate da Microsoft e HP con cui le due aziende negavano ogni addebito di violazione dei diritti d’autore.

L’accordo MS-DOJ del 1995

Il 5 febbraio del 1993 l’inchiesta avviata nel 1990 dalla commissione federale per il commercio si chiude con un nulla di fatto, e il 21 agosto dello stesso anno il Department of Justice (Dipartimento di Giustizia) degli Stati Uniti dà il via ad una serie di indagini sulla scia di quelle già effettuate dalla Federal Trade Commission. Anche la Commissione Antitrust dell’Unione Europea annuncia l’avvio di una indagine sulle pratiche commerciali Microsoft. Nel 1994 inizia la stesura di un accordo con Microsoft, con il quale si regolano fino all’anno 2000 le pratiche di marketing dell’azienda. Microsoft riconosce che le licenze d’uso dei sistemi operativi non devono contenere condizioni che si applicano ad altri prodotti software dell’azienda di Redmond. Secondo l’accordo, Microsoft non può più obbligare i costruttori di computer all’inclusione della licenza di altri prodotti Microsoft come condizione vincolante per l’acquisto delle licenze per Windows 95. In parole povere, non si può obbligare chi compra licenze di utilizzo per Windows a comprare in abbinamento licenze per Word o per il pacchetto Office. Nel testo dell’accordo, tuttavia, è contenuta una clausola che consente a Microsoft lo sviluppo di “prodotti integrati” per il suo sistema operativo.

Le peripezie continuano: Un tribunale americano, a maggio del 1994, condanna Microsoft a pagare 120 milioni di dollari per danni alla STAC Electronics, per essersi appropriata di tecnologia brevettata dalla stessa Stac. La giuria riscontra che le più recenti versioni del DOS Microsoft avevano utilizzato la tecnologia sviluppata dalla Stac per memorizzare i dati in forma compressa all’interno del disco rigido. Le versioni incriminate del DOS Microsoft sono la 6.0 e la 6.2, entrambe dotate dell’opzione DOUBLESPACE. Durante l’estate Microsoft è nuovamente al centro dell’attenzione. Bill Gates fa il suo ingresso nel mercato del multimedia, tentando di stabilire lo standard Microsoft anche all’interno delle nuove apparecchiature per applicazioni multimediali. Gates si allea con TCI, Tele-Communications Inc., un gigante della TV via cavo, con la Sega e con altri operatori del settore.

Nel frattempo arriva il 1995, e il 14 febbraio il giudice distrettuale Stanley Sporkin festeggia San Valentino rifiutandosi di firmare e convalidare l’accordo redatto l’anno precedente da Microsoft assieme al Dipartimento di Giustizia, accordo ritenuto dal giudice troppo blando e non conforme all’interesse pubblico. La decisione di Sporkin viene però ribaltata dalla corte d’appello, che ritiene fondata una protesta presentata congiuntamente da Microsoft e dal Dipartimento di Giustizia, e delibera pertanto la rimozione di Sporkin dal caso.

Il 21 agosto 1995 Thomas Penfield Jackson, il giudice distrettuale subentrato a Sporkin dopo la sua rimozione, approva finalmente l’accordo tra Microsoft e il Dipartimento di Giustizia, in seguito al quale anche la commissione antitrust UE decide di chiudere la sua indagine.

Nonostante la firma dell’accordo il Dipartimento di Giustizia afferma di voler continuare le sue indagini su Microsoft. L’azienda di Gates, infatti, aveva richiamato nuovamente l’attenzione su di sé cercando di legare i servizi Internet e i programmi necessari per collegarsi alla “Microsoft Network” al sistema operativo Windows 95, cosa espressamente proibita dall’accordo firmato precedentemente.

I “peccati informatici” dell’Uruguay assolti da Microsoft

Nel 1995 Microsoft fa parlare di sé anche in America Latina. Antel, la compagnia telefonica nazionale dell’Uruguay, viene trascinata in tribunale dal locale ufficio legale della Business Software Alliance, la lobby dei potentati informatici, a causa della detenzione di software privo di regolare licenza d’uso, per un valore complessivo di 100.000 dollari. I programmi “piratati” appartengono a varie ditte, principalmente a Microsoft, Novell e Symantec. Inaspettatamente, nell’autunno del ’97 la BSA abbandonerà il caso, mentre Microsoft, il principale finanziatore della BSA, stipula degli “accordi speciali” con la Antel per rimpiazzare tutto il software preesistente con prodotti Microsoft regolarmente registrati, sostituendo anche i prodotti Novell e Symantec, secondo quanto afferma Ricardo Tascenho, che nella Antel ricopre il ruolo di information technology manager.

La versione di Tascenho è confermata anche da Eduardo DeFreitas, che fa parte della staff legale BSA dell’Uruguay. DeFreitas parla di contatti con l’esponente locale Microsoft, Tomas Blatt, che gli ha chiesto di far cadere la controversia legale in modo da “poter trovare un accordo per il futuro”. Anche Blatt viene contattato, ma si rifiuta di parlare: “non ho nessuna informazione in merito al caso Antel, rivolgetevi alla BSA dell’Uruguay.” Le aziende concorrenti sono d’accordo nell’affermare che Microsoft abbia abusato più volte della sua influenza all’interno della BSA per rafforzare il suo monopolio a livello mondiale. L’avvocato Microsoft, Brad Smith, nega che la BSA agisca in base a istruzioni impartite da Bill Gates, e la portavoce BSA Diane Smiroldo afferma che tutte le accuse sono “difficili da credere”. I casi non si limitano all’Uruguay, secondo quanto afferma Felipe Yungman, manager argentino della Novell, che durante alcune indagini per l’azienda ha scoperto delle trattative “amichevoli” condotte dalla BSA per conto di Microsoft. I termini del contratto erano sempre l’acquisto di prodotti Microsoft, con i quali rimpiazzare prodotti Novell, in cambio dell'”assoluzione” dei peccati informatici commessi dalle aziende. Le accuse di Yungman vengono appoggiate anche da Mario Tucci, il country manager della Novell per l’America Latina.

La “guerra dei browser”

Le prime scaramucce della “guerra dei browsers” iniziano nel 1996. La Netscape Communications presenta un esposto al Dipartimento di Giustizia nel quale si denunciano delle pratiche commerciali illecite per la promozione del browser Microsoft Internet Explorer. Secondo le accuse di Netscape, Microsoft avrebbe concesso ai produttori di computer che non installavano Netscape Navigator all’interno delle loro macchine uno sconto di 3 dollari su ogni singola licenza di Windows 95 (quindi su ogni computer venduto). Dopo le immancabili smentite dei dirigenti Microsoft il Dipartimento di Giustizia richiede all’azienda di Gates i documenti relativi agli accordi con i fabbricanti e i rivenditori al dettaglio di computer, e a Netscape vengono chieste ulteriori prove, necessarie all’avvio di una indagine. L’inchiesta, a quanto pare, è ancora in sospeso.

Un altro episodio curioso della “browser war” è quello legato a un nome da 5 milioni di dollari. Il 28 maggio 1998 il Patent and Trade Office, l’ufficio marchi e brevetti degli Stati Uniti, assegna la titolarità del marchio “Internet Explorer” alla SyNet, una piccola azienda di software di Downers Grove, Illinois, che aveva citato Microsoft per violazione del diritto d’autore. Infatti il nome “Internet Explorer” era stato già brevettato dalla SyNet nel 1994, un anno prima che l’azienda di Bill Gates mettesse in commercio l’omonimo programma per la navigazione Internet. Nella citazione era contenuta una richiesta di risarcimento per dieci milioni di dollari, a cui i legali Microsoft avevano risposto con una proposta di riconciliazione per la somma di 75mila dollari. Dopo il primo rifiuto di Dhiren Rana, fondatore della SyNet, l’offerta sale a ben 5 milioni di dollari, davanti ai quali la SyNet non si tira indietro.

Il peggior brevetto del 1997

Il 21 febbraio 1997 l’editor di “Internet Patent News Service”, Gregory Aharonian, assegna a William H. Gates III il premio per il “Peggior brevetto software dell’anno”, un titolo che vuole denunciare la facilità con cui vengono rilasciati brevetti negli USA, soprattutto nel settore dell’informatica, dove i piccoli sviluppatori di software sono costretti a lavorare camminando su un campo minato fatto da centinaia di migliaia di brevetti, il più delle volte relativi ad algoritmi di base e a tecniche che ormai sono patrimonio comune di tutti i programmatori.

La reinvenzione indipendente è la norma nell’ambito della programmazione, e di conseguenza è molto alta la probabilità di dover sostenere delle spese giudiziarie semplicemente per aver reinventato un algoritmo già brevettato, spese che possono sostenere solo grandi aziende dotate di uffici legali specializzati. Nulla protegge i programmatori indipendenti dall’uso accidentale di una tecnica brevettata, e quindi dall’essere citati in giudizio per questo motivo.

Contro il sistema dei brevetti si è levata la voce di Richard Stallman, il fondatore della Free Software Foundation, con un articolo intitolato “Contro i brevetti software” (Communications of the ACM, gennaio 92, vol 35. N.1), in cui si afferma che “I brevetti software minacciano di devastare l’industria informatica americana”. Il brevetto con cui Bill Gates ha “vinto” il titolo assegnato da Gregory Aharonian è il numero 5.552.982, che corrisponde a un “metodo e sistema per l’elaborazione di campi in un programma di elaborazione dei documenti”, praticamente una tecnica per associare il testo di una lettera ad un numero qualsiasi di indirizzi a cui spedire la stessa lettera. Un sistema, insomma, già incluso in un numero vastissimo di programmi per l’elaborazione dei testi attualmente in commercio.

L’uomo da un milione di dollari (al giorno)

Sempre nel 1997 è lo stato del Texas che passa all’attacco contro il colosso dell’informatica. Prende il via una indagine antitrust ufficiale sulle pratiche commerciali adottate da Microsoft sull’Internet. Al Texas si aggiunge in seguito anche lo stato del Massachussetts, che inizia una nuova indagine. A questi due stati si unisce il Justice Department, che il 20 ottobre del ’97 chiede ad una corte federale di avviare una causa civile per la violazione dell’accordo realizzato nel ’94 e firmato nel 1995.

Secondo il Dipartimento di Giustizia Microsoft avrebbe indotto i produttori di personal computer a pre installare il proprio browser Internet Explorer sui PC in vendita. L’azienda di Redmond è accusata di essersi procurata spazio sul mercato indebitamente, e a spese della concorrenza. Secondo il Dipartimento di Giustizia la scelta di integrare i programmi al sistema operativo anziché metterli a disposizione in pacchetti separati è uno stratagemma per aggirare l’accordo del 1994, secondo il quale “non si proibisce a Microsoft lo sviluppo di prodotti integrati”.

Il ministro della giustizia Janet Reno richiede una multa di un milione di dollari al giorno in caso di continuazione delle pratiche commerciali irrispettose degli accordi. A novembre i legali Microsoft ricorrono in appello contro la richiesta di multa, affermando che il Dipartimento di Giustizia sta utilizzando le leggi antitrust come un’arma per danneggiare l’azienda e bloccare lo sviluppo di Windows.

Le azioni anti-microsoft si moltiplicano: il procuratore generale del Texas apre un procedimento giudiziario in merito ad una presunta interferenza illegale di Microsoft sulle indagini effettuate dallo stato in merito alle pratiche commerciali anticoncorrenziali del gigante dell’informatica. La causa, aperta nel 1994, verrà chiusa nel 1998 senza nessuna conseguenza.

11 dicembre 1997 – primo round: Microsoft contro thomas jackson

L’11 dicembre ’97 il giudice Thomas Penfield Jackson emette un’ingiunzione preliminare con la quale si vieta a Microsoft di richiedere l’installazione obbligata di Internet Explorer agli acquirenti di licenze d’uso per Windows 95.

Nonostante sia momentaneamente costretto ad obbedire all’ordine di Jackson, Bill Gates non si arrende e il 15 dicembre 1997 presenta ricorso contro l’ingiunzione preliminare di Jackson, portando il caso davanti alla corte d’appello, che il 23 giugno 98 darà ragione a Microsoft, come vedremo più avanti. Viene emesso inoltre un comunicato stampa con il quale si spiega che le condizioni poste dal giudice Jackson sono state comunque rispettate. La scappatoia è una semplice lettera inviata nel gennaio ’98 ai rivenditori di computer, ai quali viene consentita la scelta tra una vecchia versione di Windows 95 sprovvista di Internet Explorer ed una nuova versione con il browser integrato. La possibilità di usare la versione “ridotta” di Windows 95 esiste in teoria, ma non viene utilizzata in pratica per ovvi motivi di convenienza: a parità di prezzo i rivenditori di computer preferiscono installare una versione più aggiornata di Windows 95. La possibilità teorica di scelta è tuttavia sufficiente per affermare che non è Microsoft ad obbligare i rivenditori all’installazione di Internet Explorer, ma si tratta di una loro libera iniziativa.

Il ricorso in appello

Nel gennaio 1998 iniziano le prime udienze del ricorso in appello contro l’ingiunzione preliminare del dicembre ’97. Internet Explorer è un prodotto separato oppure una parte integrante del sistema operativo ? È questo il nodo della questione. Nel corso delle udienze il giudice Jackson afferma che un impiegato del tribunale è riuscito a disinstallare Internet Explorer 3.0 in una manciata di secondi, il che dimostrerebbe che il navigatore non è un componente così fondamentale o inscindibile, e che la rimozione del programma non pregiudica il funzionamento del sistema. Microsoft risponde dicendo che pur avendo rimosso l’icona e alcuni files, il 95% del codice di Internet Explorer continua a rimanere residente nel computer.

I legali di Gates cercano di sostenere l’inattendibilità della testimonianza del professor Lawrence Lessig della Harvard Law School, indicato dal giudice Jackson come “special master”, un esperto super partes da interrogare in merito a questioni tecniche. Jackson tuttavia rigetta la mozione, e lo stesso Lessig insiste sulla sua imparzialità. Il 22 gennaio ’98 Microsoft raggiunge un accordo parziale con il Dipartimento di Giustizia, portando avanti allo stesso tempo il ricorso in appello per l’ingiunzione dell’anno precedente. In virtù di questo accordo vengono offerte alle case produttrici di computer due nuove opzioni per le licenze di utilizzo di Windows 95, due versioni per l’installazione del sistema operativo che mantengono all’interno del sistema tutte le funzionalità di Internet Explorer, lasciandole però nascoste all’interno del sistema, senza una apposita icona sul desktop che le renda accessibili agli utenti finali.

A febbraio del ’98, i procuratori generali di undici stati USA citano Microsoft in base a documenti riguardanti l’imminente commercializzazione di Windows 98. Nel frattempo la deposizione del professor Lessig è sospesa da una corte d’appello federale. Gates accetta di comparire davanti ad un comitato giudiziario del senato per una deposizione sulla concorrenza nell’industria informatica. Il comitato è presieduto dal senatore Orrin Hatch, che invita a deporre anche Jim Barksdale della Netscape Communications e Scott McNealy della Sun Microsystems.

Il 12 maggio la Corte d’Appello degli Stati Uniti stabilisce che gli accordi siglati fino a quel momento dall’azienda di Bill Gates e l’ingiunzione preliminare emessa dal giudice Jackson non riguardano la commercializzazione di Windows 98, e dà via libera al lancio del nuovo prodotto Microsoft.

Il trionfo di bill

Il 24 giugno 1998 una corte d’appello federale emette una sentenza che ribalta completamente l’ordinanza del dicembre ’97 emessa dal giudice Jackson. Secondo la corte d’appello Microsoft ha il diritto di pretendere dai costruttori di computer, se intendono installare Windows sui loro PC, di installare anche Internet Explorer. Inoltre, sempre a giudizio della corte d’appello, il Tribunale che ha aperto le vicende giudiziarie avrebbe commesso anche errori di procedura e di merito abbastanza pesanti.

Un vero trionfo per Bill Gates, che subito dopo la sentenza vede le azioni della sua azienda andare alle stelle. La sentenza coglie di sorpresa tutti quelli che davano Microsoft per spacciata a causa dei documenti presentati da Joel Klein, il responsabile della divisione antitrust americana. Le prove più scottanti sembravano provenire dagli stessi uffici Microsoft: memorandum, messaggi di posta elettronica e altri scritti compromettenti, nei quali alcuni quadri dell’azienda ammettono che Internet Explorer avrebbe dovuto essere vincolato strettamente a Windows 98, dato che non avrebbe potuto conquistare in nessun altro modo una posizione dominante nel mercato. “opporre un browser a un altro è difficile, dal momento che il Netscape ha l’80 per cento del mercato e noi soltanto il 20… sono convinto che dobbiamo sfruttare Windows: è l’unica cosa che loro non hanno”. Sono parole di James Allchin, vicepresidente Microsoft.

E ancora: “sarà molto difficile incrementare la quota di mercato di Internet Explorer unicamente in base ai suoi pregi. Sarà più importante appoggiarsi sul vantaggio dato dal sistema operativo per fare in modo che la gente utilizzi il nostro programma al posto del Navigator”. Questa volta a parlare è Christian Wildfeuer, un altro esponente di alto livello dell’azienda di Bill Gates. Tutto questo e molto altro nei memorandum Microsoft esibiti come prove dalla commissione antitrust. Purtroppo queste prove non sono bastate a fermare Microsoft nella sua corsa senza regole per la conquista della supremazia nel settore dei browser.

I commenti

Tra i molti commenti sulle vicende giudiziarie dell’azienda di Gates, è interessante segnalare quello di Mitchell Kapor, lo storico fondatore della Electronic Frontier Foundation. In seguito alla sentenza del 24 giugno ’98, Kapor diffonde un articolo in cui afferma che “[…] Le grandi scoperte nel mondo dell’informatica arrivano spesso da imprese piccole e giovani. Con l’egemonia di Microsoft grandi settori del mercato del software – che includono applicazioni come elaboratori di testi e fogli di calcolo, ma non si limitano ad essi – sono zone minacciate dove i capitalisti e gli imprenditori avventurosi hanno paura di entrare. […] l’egemonia di Microsoft non farà altro che intensificarsi nella misura in cui Internet sta diventando parte integrale della nostra vita quotidiana. La guerra dei browsers è solo l’inizio. Microsoft reclama il diritto di insediarsi al comando di qualunque area dell’informatica che sia strategicamente importante – riconoscimento vocale, applicazioni domestiche, navigazione automatica, ecc. […]”

Né mammut né dinosauri

Un altro commento alla vittoria giudiziaria di Bill Gates contro l’ingiunzione del giudice Jackson è stato pubblicato dal giornalista Jon Katz, in un articolo apparso sulla rivista Wired: “Quello che è chiaro è che il controllo su Internet è determinato da fattori che negli anni della sua nascita e del suo sviluppo iniziale non erano determinanti ai fini delle decisioni: il potere, il denaro e il controllo delle informazioni.Internet ci parlava, in un primo momento, degli sforzi, dei progetti, della cooperazione degli individui; della loro autonomia e della loro libertà di comunicare tra loro senza intermediazioni. Una promessa che è stata mantenuta, almeno fino all’arrivo tempestoso della smania di lucro e potere. Sì, c’era una volta un’Internet dove non c’era Gates, né i governi, né i monopoli né fantastici investimenti privati, né leggi per controllare o vigilare l’oceano tumultuoso della libera comunicazione tra individui. Non sono mammut né dinosauri a mantenere ancora vivo il meglio dello spirito originario della Rete, ma sono persone e gruppi attivi in comunità virtuali, newsgroup, mailing list, siti web, laboratori di ricerca, sono programmatori di software libero, editori di pubblicazioni indipendenti… sono loro che fanno di Internet uno strumento valido per la comunicazione.”

18 maggio 1998. secondo round: 24 stati usa contro microsoft

Il 18 maggio 1998 il Dipartimento di Giustizia e i procuratori generali di 21 stati USA, danno il via ad un’altra azione giudiziaria contro Microsoft, tuttora in atto, con la quale si richiede l’eliminazione di Internet Explorer da Windows 98. Il processo si apre il 19 ottobre ’98, davanti alla corte federale presieduta da Thomas Jackson, che si trova ancora una volta nella spiacevole posizione di dover determinare fin dove possono spingersi le pratiche commerciali dell’azienda informatica più potente del mondo. Una lunga serie di testimonianze, deposizioni e schermaglie giuridiche trasformano il processo contro Microsoft in una lunga e intricata telenovela giudiziaria, che in breve tempo diventa un vero e proprio evento mediatico.

Per l’emissione di una sentenza, peraltro non definitiva, bisogna aspettare quasi due anni. Il 3 aprile 2000 il Giudice Jackson, con una sentenza di 46 pagine, afferma che Microsoft ha violato la legge americana, sia per mantenere la sua posizione di predominio nel settore dei sistemi operativi, sia nel tentativo di imporre il browser Internet Explorer sul mercato legandolo a Windows.

Nonostante l’apparente durezza della sentenza, alcuni “peccati veniali” di Gates e soci vengono ritenuti non condannabili. Alcuni contratti di marketing stipulati con i principali produttori di personal computer (Apple e Compaq in testa), hanno avuto il palese effetto di danneggiare Netscape Communication, rivale di Microsoft nella “guerra dei browser”, ma la corte federale non ha ritenuto che questi accordi fossero di una gravità tale da costituire un illecito.

Purtroppo questa sentenza è solo il primo passo verso una soluzione definitiva del caso, dal momento che l’ufficio legale Microsoft, capitanato da Bill Neukom, avrà tutto l’interesse a ricorrere presso la Corte d’Appello, arrivando se necessario fino alla Corte Suprema, una mossa legale che permetterebbe di “prendere tempo” fino al 2003 prima dell’emissione di una sentenza finale.

Rimini, 7 aprile 2000
Carlo Gubitosa

Nota dell’autore:

Questo testo sostituisce, completa ed integra un testo analogo da me diffuso in data 4/11/98
Microsoft – Storia di un monopolio

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