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(Dis)simulando The Sims

23 Marzo 2000

(Dis)simulando The Sims

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Perché videogiochiamo? La risposta è semplice: per diventare Dio. Il Dio del nostro piccolo mondo simulato

Il divertimento interattivo ci rende liberi. Ci fa trascendere i nostri atavici limiti. Diventare altro: l’Altro. L’oltre-uomo nietzscheano impugna un mouse. Nessuna sorpresa se un osservatore attento come Abruzzese ha recentemente definito il videogioco “il godimento nella sua dimensione post-umana“. C’è un pizzico di Feuerbach in tutto questo: il medium elettronico rende possibile l’alienazione definitiva, la trasmutazione in un’entità divina, l’acquisizione di potenzialità sovrumane: onniscienza, onnipotenza, immortalità. Il tecnoludismo è una religione, non un passatempo.

The Sims è l’ultimo titolo di una serie di god-games o simulatori totali, che hanno venduto oltre sette milioni di copie in tutto il mondo. Il primo – Sim City – risale al 1987. L’ultimo, appena pubblicato da Maxis, ha richiesto quasi sette anni di lavoro e un team di cinquanta programmatori capitanati dal quarantenne Will Wright. Il mio guru spirituale.

Ho passato la mia adolescenza davanti allo schermo a costruire palazzi, gestire parchi di divertimento, ospedali, persino formicai. Con The Sims ho fatto un salto di qualità. The Sims è il Tamagotchi definitivo. Non ne potevo più di allevare gattini e altre creature kawaii partorite dalle menti di casalinghe nipponiche in forza a Bandai. Ora simulo persone. Scapoli e ammogliati. Intere famiglie. Aiuto i miei personaggi a fare carriera. Li circondo di amici. Li faccio innamorare e accoppiare. Li istigo, li provoco, li distruggo. Basta un clic del mouse. Non devo nemmeno uscire di casa.

The Sims è più di un “semplice” videogioco. The Sims è più di un “semplice” film. The Sims è un videogioco che prende a prestito idee e temi di film come Dark City, Truman Show e Pleseantville. The Sims incorpora alcuni dei temi ricorrenti della narrativa cinematografica degli ultimi anni: il controllo, l’inganno, la simulazione.

Gioco a The Sims e mi sento un po’ come gli alieni di Dark City. Studio le abitudini e i comportamenti degli esseri umani per tentare di coglierne l’essenza. Manipolo la loro personalità. Ridefinisco i loro ruoli. Modifico la città a mio piacimento. Proprio come nel film di Proyas. Sono architetto, urbanista, cowboy dello spazio.

The Sims è un gioco straordinariamente dickiano, se vogliamo. Del resto, le tematiche dickiane – dalla perdita dell’identità al concetto di sostituzione – permeano l’intera produzione ludica di Will Wright. The Sims mi ricorda uno dei primi romanzi di Philip K. Dick, La Città Sostituita, nel quale una suprema entità usa gli ignari abitanti di una cittadina della periferia americana come pedine di un colossale gioco dei ruoli. Ancora una volta, welcome to Sim (Dark) City.

The Sims è anche Truman Show. Con una sola differenza: la mise en scene qui è totale. Ogni personaggio è Truman Burbank, vittima inconsapevole dell’inganno che si sta perpetrando ai suoi danni. Con la maestria di un esperto burattinaio (Essere John Malkovich insegna), muovo i fili delle loro esistenze. Forse un giorno prenderanno coscienza della loro situazione e si ribelleranno al loro creatore. Non ho fretta.

The Sims è anche Pleasantville. Medesimo setting: un quartiere residenziale a dieci minuti dal casello di Sim City, dove la political correctness regna suprema. Le interazioni sociali rappresentano un elemento cruciale del gioco. Una mossa sbagliata, un commento fuori luogo e diventiamo immediatamente impopolari. E tuttavia, ci sono limiti: sì all’omosessualità, no alla pedofilia. Sì all’omicidio, no al massacro.
Fino alla prossima patch, beninteso.

Gioco a The Sims e mi chiedo se in realtà non sto assistendo a un’infinita telenovela elettronica. Già: The Sims è la prima sim-com della storia dei videogiochi. Di più, è una sim-opera. È il figlio illegittimo di Little Computer People, geniale titolo dei primi anni ottanta di David Crane. Allora l’obiettivo era instaurare una qualche forma di comunicazione con un omino che abitava in una casetta a tre piani. L’interazione era minima, che nel gergo videoludico significa che non succedeva mai niente. Il massimo dell’emozione era ricevere una lettera dall’omino oppure spiarlo mentre suonava il pianoforte. L’omino di Crane è diventato grande, è uscito di casa. Si è trovato un lavoro e ha messo su famiglia.

The Sims è un gioco estremamente noioso e frustrante. Come lo è, del resto, la mia esistenza. I personaggi di The Sims non combattono cacodemoni doomiani, non salvano principesse, non pilotano navicelle spaziali. Au contraire, lavano i piatti, si stordiscono davanti alla televisione, urinano in continuazione. I Sims sono come i Fornit kinghiani: vivono nel mio computer. E non vanno a dormire quando spengo il PC. The Sims mi consente di mettere in pausa per qualche ora la monotonia dei giorni che passano e di vivere in forma tecnoludicamente mediata la monotonia dell’esistenza/non esistenza di personaggi digitali. Dove finisce la noia reale comincia quella virtuale.

Sto fissando il monitor da diciassette pollici con apparente concentrazione. Che ore sono? Che giorno è? E improvvisamente realizzo che mi trovo di fronte a una sorta di acquario elettronico. Al posto dei classici pesci rossi c’è una famiglia piccolo-borghese. The Sims è un’esperienza veramente “immersiva”.

La cosmesi isometrica di The Sims limita in qualche modo il potenziale di verosimiglianza della simulazione. È un fumetto animato. Non a caso, i pensieri dei personaggi vengono visualizzati in forma di icone che appaiono sopra le loro teste. E tuttavia, mentre gioco a The Sims, mi interrogo sulla reale consistenza ontologica della mia esistenza. Esisto davvero o sono semplicemente il personaggio di una simulazione ancore più grande? Dovrei mandare un e-mail a Baudrillard.

The Sims mi consente di sfogare le mie frustrazioni, da’ concretezza iconica alle mie più subdole perversioni di videogiocatore. Devo morbosamente riconoscere che nelle ultime settimane ho speso un’insana quantità di tempo ad accanirmi contro la mia famiglia elettronica. Prendo a sberle i personaggi, li confino in camera, evito deliberatamente di nutrirli. Era dai tempi dei suicidi di massa dei Lemmings (Psygnosis) che non mi divertivo tanto.

Giocare a The Sims è un’esperienza ipnotica, che ti assorbe, ti coinvolge. Mi sento quasi come i personaggi dello splendido racconto di Stephen King, Cuori in Atlantide, che rinunciano a tutto per continuare a giocare. Non mi rado da giorni. Non so se sia giorno o notte. Non m’importa. L’unica cosa che mi interessa è che ho acquistato una nuova lampada per il salotto della mia famiglia virtuale.

La filosofia di The Sims è spiccatamente consumistica. La massima felicità coincide con il possedere il più grande numero di oggetti, di merci. The Sims mi da’ la possibilità di riempire la mia casa virtuale con Jacuzzi, lampade UVA, televisori da cinquanta pollici, biliardi. Mi sento come il protagonista di Fight Club. Vivo per trasformare il mio appartamento in un catalogo IKEA. E dopo aver visto Tutto su mia madre di Almodovar, ho maturato la decisione di cambiare la tappezzeria.

In questo momento, sto scattando fotografie della mia famiglia da mettere in rete. Sono molto orgoglioso dei miei ragazzi. Se mi deluderanno, vorrà dire che finiranno nel cestino del desktop. Metterò su un’altra famiglia. Mi sento come lo psicopatico protagonista del film Il Patrigno (1987).

The Sims ha ridefinito le mie priorità. Il giovedì ad esempio, è diventato il SimDay. Mi collego in rete e trovo nuove scuse per procrastinare, chattare con altri giocatori, spiare le altre abitazioni con un’intrusiva webcam, aggiornare i miei scenari. Ieri, per esempio, ho scaricato il quarto Graphics Pack, che contiene nuovi personaggi, volti, dettagli. Ho appena comprato un acquario virtuale, un animale impagliato, una slot machine, un orologio a cu-cu. Ma non mi basta mai. La mia dipendenza sta raggiungendo livelli parossistici. Sherry Turkle sarebbe fiera di me.

C’è vita dopo The Sims?
In un’ intervista a CNN.com, Wright ha accennato trasversalmente a un possibile nuovo progetto: SimCulture, un simulatore di convenzioni sociali e culturali. Personalmente, mi aspetto qualcosa di ancora più estremo. Aspetto il simulatore di simulatori: aspetto Sim Sim.

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