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Bloccato lo spot anti-pirateria della BSA

18 Dicembre 2000

Bloccato lo spot anti-pirateria della BSA

di

Il Giurì ha giudicato ingannevole e scorretto lo spot. Una chiara vittoria contro lo strapotere delle multinazionali del software.

Era partita poco più di un mese fa l’iniziativa di Emmanuele Somma contro la BSA per pubblicità ingannevole. Con la presentazione di un formale esposto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per lo spot radiotelevisivo “Copiare Software è Reato”. Insieme al tono inaccettabilmente intimidatorio di tale spot, la scorrettezza della Business Software Alliance riguardava soprattutto la mancata considerazione del software non commerciale, che va proliferando ovunque grazie proprio alla libera copia e alle licenze di libera distribuzione. Ebbene, qualche giorno fa il Giurì ha formalmente condannato lo spot pubblicitario della BSA, bloccandone l’ulteriore diffusione.

Questo il testo della comunicazione ufficiale, prontamente rigirato online dallo stesso Emmanuele Somma:

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Mail inoltrata da “I.A.P.”

Milano, 14 dicembre 2000

prot. /am – 588

Egregio Signor
Emmanuele Somma

Segnalazione messaggio pubblicitario “Copiare software è reato”, della Business Software Alliance trasmesso sulle reti Mediaset

Con riferimento alla segnalazione in oggetto, con la presente Le comunichiamo che, dopo l’esame del caso da parte del Comitato di Controllo e la decisione di trasmettere gli atti al Giurì, ai sensi degli artt. 2, 8 e 9 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, nella sua riunione del 12/12/00, l’organo giudicante dell’Autodisciplina Pubblicitaria ha emesso il seguente dispositivo:

“Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che il messaggio televisivo non è conforme agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e ne ordina la cessazione.”

Appena disponibile provvederemo a trasmettere la decisione integrale, comprendente anche la relativa motivazione.

Grati per la collaborazione, porgiamo i migliori saluti.

La Segreteria

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Éil caso di aggiungere il testo integrale degli articoli (violati) in questione:

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Dal Codice di Autoregolamentazione Pubblicitaria

Art. 2 – Pubblicità ingannevole.
La pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l’identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti.

Art. 8 – Superstizione, credulità, paura.
La pubblicità deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura.

——

Éstata quindi ascoltata la denuncia di un cittadino nei confronti delle multinazionali del software, le quali pur di difendere i propri interessi commerciali non esitano a lanciare campagne tanto intimidatorie quanto indiscriminate. Si tratta di una vittoria importante perché finalmente si pone fine a un tipico abuso d’informazione, dando altresì pubblico riconoscimento alle diffuse lamentele contro similari campagne pubblicitarie – anche se rimangono tuttora pochi i singoli che decidono di far davvero qualcosa. In tal senso, la conclusione positiva di questo caso potrebbe stimolare l’avvio di iniziative più massicce a tutela dell’open source da una parte e in netta opposizione a certe pratiche scorrette dall’altra.

Per dovere di cronaca va rammentato che, all’indomani della denuncia, un comunicato della BSA aveva definito lo spot “un normale messaggio pubblicitario, necessariamente espresso in termini chiari e comprensibili a tutti”. E quanti criticavano l’iniziativa pubblicitaria, avevano interpretato l’episodio “in modo distorto, al fine di bloccare la campagna per la sensibilizzazione delle imprese al controllo della legalità del software.” La precisa disposizione delle Autorità preposte dimostra tuttavia che le cose non stavano né stanno così. E a rimanere bloccata stavolta non è altro che la campagna della BSA.

Il punto, ancora un volta, è che si preferisce far finta di nulla e ricorrere a terminologia chiaramente scorretta. Al generico concetto di “software copiato” in questo caso occorrerebbe sostituire il più preciso “software contraffatto”. Bisogna inoltre smetterla di ignorare l’ampia fetta di utenti di ogni livello, dall’imprenditoria locale alle mega-corporation ai singoli, che in ogni paese del mondo ricorre al software ed ai sistemi open source per le proprie attività quotidiane. Non è un certo un caso che certe crociate siano tirate da Microsoft & co., stavolta riuniti sotto la bandiera dell’organizzazione nonprofit internazionale BSA.

Grazie quindi a Emmanuele Somma per essersi fatto carico di portare la delicata questione all’attenzione delle Autorità, nella speranza che la vittoria serva da monito ai potentati del software commerciale. Anche se è chiaro che occorrerà continuare a vigilare contro analoghe operazioni ambigue, per difendere al contempo la diffusione dell’open source in ogni ambito e con ogni mezzo possibile.

Dulcis in fundo, sull’onda della decisine del Giurì è appena sorta una mailing list finalizzata alla raccolta di messaggi di approvazione, condivisione, aiuto e apporto non solo intorno a questa e iniziative similari, ma anche – riprendendo la nota diffusa online – di quant’altri vogliano “rendere la società più libera e trasparente sotto tutti i punti di vista, anche quello del software e dell’informatica in generale.”
Il gruppo virtuale, si chiama “fronda-it“. La lista si propone anche come strumento operativo per un obiettivo più generale, quello di coordinamento delle iniziative sulla frontiera digitale in Italia.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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