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Red Hat, nel bene e nel male

09 Ottobre 2000

Red Hat, nel bene e nel male

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Al varo la versione 7.0 e il Network pluriservizi. Incluse critiche e problemi

Nel modello “free” dell’open source, come riuscire a far soldi e prosperare?
Questo l’annoso dilemma che giorno dopo giorno le numerose aziende Linux si trovano a fronteggiare;
queste, assai più e meglio dei giganti commerciali, sono costrette a inventarsi continuamente business model di profitto tramite una girandola di servizi aggiuntivi, personalizzazioni e opzioni varie. Iniziative che recentemente il maggior distributore attuale, Red Hat, ha rivitalizzato grazie alla nuova versione del sistema (7.0) e soprattutto al lancio dell’omonimo network, basato sul sistema degli abbonamenti a una serie di servizi ad hoc.

Ma pur in presenza di buone prospettive per l’ampliamento del mercato, quest’ultima trovata non ha riscosso grandi simpatie proprio all’interno del mondo open source. Come mai?

Diamo prima una rapida occhiata al nuovo Red Hat Linux 7.0.
Annunciato a latere della Embedded Systems Conference svoltasi un paio di settimane addietro a San Josè, California, il sistema offre alcune importanti novità, a partire dal netto miglioramento del supporto per la Universal Serial Bus (USB), la tecnologia attualmente in uso per collegare al PC periferiche quali stampanti, scanner, video-camere.

Un passo importante vista l’ampia diffusione di tale tecnologia e il precedente supporto Linux nient’affatto soddisfacente. In ogni caso, la medesima opzione sarà presente nell’upgrade alla versione 2.4 del “cuore” del sistema operativo open source.

Ma come sempre, i tempi si sono diradati alquanto rispetto alle previsioni iniziali: lo stesso Linus Torvalds aveva sperato in una diffusione autunnale del nuovo kernel, ma se tutto va bene se ne parlerà per fine anno. Forse meglio, a inizio 2001 onde far “posare” eventuali detriti.

Le altre funzioni innovative di Red Hat Linux 7.0 includono il supporto di OpenSSL per quei server Web che necessitano di comunicazioni sicure e criptate, maggior sicurezza per utenti casalinghi dotati di connessioni rapide, miglior supporto per i grafici in 3D e una nuova serie di strumenti di programmazione.

Last but not least, la presenza di “Tux,” software del kernel che incrementa in misura notevole le prestazioni del noto Apache, prim’attore dei server Web. Il tutto per prezzi al pubblico che variano dai 29,95 dollari dell’edizione standard, ai 79,95 del pacchetto Deluxe ai 179,95 di quello Professional, con ovvie varianti legate ai differenti livelli di assistenza tecnica continuata

Fatto il doveroso rendiconto tecnico-operativo, veniamo alla materia del contendere, ovvero l’avvio di Red Hat Network: iniziativa lanciata, come recita lo slogan ufficiale, per semplificare l’implementazione e la gestione delle piattaforme di Internet. In pratica, un’ulteriore sterzata verso il settore dei servizi per potersi aprire nuovi spazi di mercato e rimpinguare le sempre bisognose entrate (almeno si spera). Ma anche un indicatore della tendenza in atto nell’intero ambito informatico, ben oltre le esigenze dell’open source.

Come per l’eterno nemico Microsoft, anche qui si giura infatti sul successo del modello di abbonamento ad un pacchetto di servizi continuati nel tempo. Non a caso Red Hat Network si basa innanzitutto sull’offerta di tali abbonamenti, ricordando da vicino le strategie attivate da qualche tempo proprio dal boss dei sistemi operativi relativamente alle opzioni di upgrade per Windows. Senza dimenticare recenti dichiarazioni in arrivo da Redmond secondo cui “i servizi d’abbonamento diventeranno sempre più importanti per Microsoft.” Forse che Linux si vada allineando con il business model più commerciale?

Be’, non proprio. Sembra, piuttosto, che l’idea vada considerata come una sorta di test, per vedere fino a che punto gli utenti Linux saranno disposti a sborsare dei soldi pur di usufruire di supporto e servizi vari. Soprattutto, sottolineano alcune fonti interne al movimento open source, siamo in presenza di un primo banco di prova consistente per capire se in futuro i vari distributori abbracceranno risolutamente (o meno) simili strategie per meglio imporsi sul mercato.
Se, come certamente avverrà, le offerte di Red Hat finiranno per attirare utenza nuova e qualificata, non è detto che la tendenza sia poi così positiva: sia a causa, appunto, di eccessive somiglianze con strategie prettamente commerciali, sia per la scarsa novità e certe preoccupazioni suscitate dalle offerte in ballo, almeno nell’ottica della crescente truppa di appassionati e programmatori del giro open source.

Vediamo ad esempio il pacchetto di servizi d’aggiornamento, perno centrale di Red Hat Network.
Le opzioni offerte variano dalla semplice notificazione dell’esistenza delle nuove versioni al dowload e all’installazione in automatico. Come fanno notare fonti bene informate, “ogni utente di Debian riderebbe nel considerare ‘innovativa’ l’idea degli upgrade automatici.”
Ma quel che è peggio: ciò significa forse che Red Hat fornirà le informazioni sugli aggiornamenti solo a chi sottoscrive l’abbonamento? Oppure le scaglionerà a proprio piacimento? E i suoi server FTP per il dowload gratuito già oggi così intasati, finiranno forse per costringere a scegliere i servizi a pagamento onde poter prelevare rapidamente il software? Domande senz’altro lecite, a cui il piano annunciato da Red Hat Network offre scarsi chiarimenti.

Simili le preoccupazioni per il sistema di “tracking”, dove l’azienda mantiene un database online contenente le configurazioni si tutti i sistemi dei propri utenti registrati. Ciò consente ai system administrator, per esempio, di ottenere al volo l’elenco di quegli elementi del sistema che subiranno modifiche per via dell’upgrade automatico. Oppure per diagnosticare preventivamente eventuali problemi provocati dall’installazione dei nuovi pacchetti.
È ovvio che l’opzione non possa non suscitare preoccupazioni, sia a livello di privacy che di possibili intrusioni. Simili database online sono notoriamente ed intrinsecamente poco sicuri, ed inoltre rappresentano un target fin troppo succulento per l’abilità di qualcuno.

Comunque sia, l’iniziativa di Red Hat Network va vista alla prova dei fatti, senza dimenticare la presenza di altri servizi di supporto “community based”, un apposito sito Web e l’annuncio di prossime aggiunte tra cui sconti vari, strumenti di configurazione via web, monitoraggio attivo dei sistemi (sempre ricorrendo al database online).

Dulcis in fundo, le cifre: i servizi base partono da 9,95 dollari al mese per computer, con 60 giorni di offerta gratuita onde attirare una buona fetta di utenti. Ovvero, fino al primo dicembre, tutti gli utenti di Red Hat Linux 7.0 potranno ricorrere al “free trial” dei servizi per un massimo di cinque sistemi a testa. Successivamente le quote saranno differenziate a seconda del tipo di abbonamento prescelto.
Sempre che tutto funzioni per il giusto verso, ovviamente e che certe critiche fondate trovino pronta risposta per la salute dell’intero pianeta Linux.

Link:
http://www.redhat.com/products/support/network

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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