Informatica: l’Italia è da terzo mondo, la soluzione è nel freeware

25 Febbraio 1998

Informatica: l’Italia è da terzo mondo, la soluzione è nel freeware

di

Lo hanno denunciano i ricercatori del CNR riuniti a Roma per il convegno "Freeware e altre iniziative per il rilancio delle tecnologie e dell'industria italiana dell'informazione". Il progetto del prof. Angelo Raffaele Meo, direttore del Centro di studio per l'elaborazione numerale dei segnali del Cnr di Torino, per fare dell'Italia la capiale del freeware.
  1. LO SCENARIO INTERNAZIONALE DELL’INFORMATICA
  2. IL PROGETTO FREEWARE
  3. BENEFICI ECONOMICI ATTESI PER IL SISTEMA PAESE
  4. FREEWARE ED ECONOMIA SOLIDALE

1. LO SCENARIO INTERNAZIONALE DELL’INFORMATICA

1.1 La posizione dell’Italia

È ben noto che il nostro Paese occupa una posizione di arretrata retroguardia sullo scenario internazionale delle tecnologie e dei prodotti dell’informazione. Tutti gli indicatori relativi al mercato, alla diffusione dei prodotti, alla produzione industriale nel settore collocano l’Italia sotto le medie europee, che sono a loro volta molto inferiori ai dati corrispondenti dei due paesi leader, Stati Uniti e Giappone.

Nel 1996, ultimo anno per il quale disponga di dati consolidati, il mercato italiano dell’informatica valeva 23.050 miliardi di lire contro un mercato mondiale di 603 miliardi di dollari, nettamente al di sotto di quel 3.4% che rappresentava il contributo italiano al reddito mondiale. La spesa informatica italiana per cittadino era pari a 253 dollari, contro 909 di Stati Uniti, 741 del Giappone, 523 di Gran Bretagna, 512 della Germania e 489 della Francia. Anche rapportata al PIL, tale spesa (1,4%) appare nettamente inferiore non soltanto a quella dei due paesi leader (3,1% per gli USA, 1,8% del Giappone), ma anche a quelle dei tre più importanti paesi europei (2,8%, 1,9% e 2,0% di Gran Bretagna, Germania e Francia, rispettivamente).

Su 100 addetti soltanto 26 lavoratori italiani dispongono di un personal computer, contro 68 americani e circa 40 per gli altri paesi europei. Di questi soltanto 17 usano la posta elettronica, contro 67 americani, 65 inglesi e 30 tedeschi. Il numero di personal computer collegati a un modem è nel nostro paese soltanto pari al 4% contro l’87% degli Stati Uniti e il 20% della Germania.

Fanno eccezione, in questo contesto, i dati relativi alla diffusione di altri apparati, come i televisori o i telefoni fissi, caratterizzati da valori comparabili con le medie europee, e i dati della telefonia cellulare, che decretano la leadership italiana in Europa. Questi dati sono talora usati, credo inconsapevolmente, per mascherare il disastro dei dati relativi alla spesa informatica. Si osservi tuttavia che telefoni e televisori sono prodotti di consumo, operanti solo in piccola misura come fattori di sviluppo, e che comunque sono realizzati con tecnologie e apparati in larga prevalenza importati.

Anche la dinamica dei parametri sopra riportati appare meno rapida per l’Italia che per gli altri paesi industrializzati. Persino in anni, come il 1995, che hanno visto crescere in misura considerevole gli investimenti italiani in macchinari e attrezzature, gli incrementi di investimenti in tecnologie e prodotti dell’informazione sono apparsi relativamente modesti, quasi a testimoniare una vocazione del sistema industriale del Paese verso prodotti e produzioni tradizionali, a basso contenuto tecnologico.

Se i dati relativi all’impiego di tecnologie e prodotti dell’informazione sono molto preoccupanti, i corrispondenti dati pertinenti la produzione, come soggetti industriali, di quei prodotti e quelle tecnologie appaiono disastrosi. Consumiamo poca informatica e ne produciamo pochissima. Il caso della Olivetti, che non è più un’azienda industriale in senso stretto, e quello della Telettra, che è divenuta parte della francese Alcatel con una conseguente delimitazione del ruolo, sono emblematici della scelta del sistema industriale italiano, tutto concentrato sulle tecnologie e sui prodotti maturi.

Il nostro Paese ha fatto proprio, o quanto meno ha accettato, un modello della divisione internazionale del lavoro che delega ad altri lo sviluppo delle tecnologie di punta, e delle tecnologie dell’informazione in particolare, e lascia a noi tecnologie e comparti tradizionali. È una scelta economicamente sbagliata, perché i comparti di punta sono caratterizzati da valori aggiunti e profitti più elevati, e strategicamente pericolosa, perché le tecnologie sono sinergiche l’una con le altre, e non si può trascurarne una senza implicitamente danneggiare tutte le altre.

1.2 Il software italiano

Nel 1996 il mercato italiano del software e dei servizi relativi ha raggiunto il valore di 12.590 miliardi di lire, che diventano 14.850 se si considera anche il fatturato “captive” di imprese informatiche verso le loro capogruppo. I valori e i tassi di crescita di questo mercato sono ancora una volta nettamente inferiori alle corrispondenti medie europee, a loro volta molto minori dei dati di Stati Uniti e Giappone.
La spesa procapite italiana per software e servizi è stata pari a 126 dollari contro 571 degli USA, 346 del Giappone, 301 della Francia, 276 della Gran Bretagna, 242 della Germania. Analoghe differenze si riscontrano nella spesa per occupato e nel rapporto fra la spesa e il P.I.L.

Dei 12.590 miliardi di lire che rappresentavano il mercato italiano del 1996, 4600 miliardi erano rappresentati da prodotti software e altri 2068 miliardi corrispondevano ai fatturati per lo sviluppo e la manutenzione di programmi su commessa. La quota rimanente era rappresentata, in misura pressoché uguale, dalle consulenze, i servizi di integrazione di sistemi, la fornitura di servizi di elaborazione dati, formazione e “outsourcing” a vari livelli.

I dati riportati non mettono in chiara evidenza tutta la dimensione del ritardo del nostro Paese in questo settore. Ad esempio, non spiegano che soltanto il software prodotto su commessa nasce nel nostro Paese, che quasi tutto il software di base – sistemi operativi, linguaggi e compilatori, strumenti e ambienti di sviluppo – e la grande maggioranza del software applicativo sono importati dall’estero, che le esportazioni di software e servizi collegati sono praticamente inesistenti. Piccolissimi paesi come la Finlandia o paesi del terzo mondo come l’India ci surclassano in questo settore. Forse, soltanto il comparto delle noci di cocco vede una bilancia commerciale così sbilanciata sulle importazioni. Non è strano, poiché la cultura delle tecnologie dell’informazione e del software in particolare è diffusa nel nostro Paese, soprattutto a livello del management che opera le scelte, come le piantagioni di noci di cocco.

1.3 Tecnologie soffici e terzo mondo

Nella seconda metà degli anni `70, in una serie di studi approfonditi sulla realtà mondiale, personaggi molto noti della cultura, della politica e dell’industria di quegli anni intravidero nell’avvento delle tecnologie dell’informazione un’opportunità di progresso per i paesi in via di sviluppo. Ricordo, ad esempio, il rapporto Brandt, titolato “Nord-Sud: un programma per la sopravvivenza”, promosso da McNamara, allora Presidente della Banca Mondiale; il memoriale Mitsubishi, frutto di un lavoro congiunto di alcune decine di studiosi occidentali e giapponesi; due rapporti al Club di Parigi e al Club di Roma di Peccei; il famoso volume “La sfida mondiale” di Jean Jacques Servan-Schreiber (1).
Quei rapporti furono tutti caratterizzati da un grande ottimismo, ispirato dalla constatazione che le tecnologie dell’informazione hanno un contenuto intrinseco di materie prime ed energia praticamente trascurabile. Essendo il contenuto di quelle tecnologie puramente intellettuale ed essendo l’intelligenza umana distribuita nella stessa misura su tutti i popoli della terra (come osservava Cartesio), le stesse opportunità di sviluppo tecnologico ed economico avrebbero dovuto aprirsi al paese ricco e a quello povero.

A venti anni di distanza dal momento in cui uomini animati da acuta intelligenza e ideali forti, come Brandt, Mc Namara, Shiller, Mitsubishi, Schreiber, Peccei, sognavano un futuro migliore, basato sulle nuove tecnologie e sull’industria dell’informazione e costruito su una stretta collaborazione internazionale, non soltanto constatiamo che il divario tecnologico, industriale ed economico fra paesi ricchi e paesi poveri non è diminuito per l’avvento delle tecnologie dell’informazione, e anzi è cresciuto, ma rileviamo amaramente che le stesse tecnologie dell’informazione si sono diffuse quasi esclusivamente nei paesi del Nord.

Il mercato dei calcolatori, degli apparati e delle reti di trasmissione dati, dei satelliti, delle stesse linee e apparecchi telefonici è dominato dagli Stati Uniti, è presente in misura inferiore ma significativa in Europa e nell’Est Asiatico, ed è praticamente inesistente nei paesi in via di sviluppo. Il divario già molto alto nel consumo di tecnologie e di prodotti informatici diventa abissale dal punto di vista della produzione industriale: i paesi in via di sviluppo utilizzano poca informatica e poche reti, e producono pochissimi prodotti e tecnologie per i due settori dell’elaborazione e della trasmissione dei dati. Al limite, il mercato del software, che teoricamente avrebbe dovuto essere il più aperto ai contributi di tutti, registra praticamente un unico protagonista: gli Stati Uniti d’America.

Il dominio dei paesi del Nord, e degli Stati Uniti in particolare, non si limita all’area delle tecnologie e dei prodotti dell’informazione, ma si estende ai contenuti culturali della stessa informazione, comprensivi di valori morali, norme giuridiche, regole politiche e tutto ciò che costituisce il modello dell’universo. Serge Latouche ci ricorda che il 70% della produzione mondiale dei giornali e il 73% di quella dei libri si concentrano al Nord. Inoltre, il Nord monopolizza il patrimonio culturale mondiale costituito dalle biblioteche, i musei, le banche dati. “Un pugno di paesi ricchi e sviluppati costituisce il Centro, di cui gli Stati Uniti sono il cuore; tutto il resto è una vasta periferia.”

Delle cento agenzie mondiali, cinque multinazionali controllano da sole il 96% dei flussi di informazione. Ad esse sono pertanto abbonate tutte le radio, le catene televisive e i giornali del mondo. In particolare, il 65% dei flussi informativi mondiali parte dagli Stati Uniti.

Cosi, contrariamente a quanto si aspettavano Brandt e gli altri studiosi che si rifacevano al suo rapporto, il monopolio dei paesi ricchi sulle tecnologie “soffici” e sui prodotti dell’industria “leggera”, anzi “leggerissima”, dall’informatica alle telecomunicazioni, dal software, che dell’informatica e delle telecomunicazioni costituisce l’anima economicamente più preziosa, sino al giornale, al libro, allo spettacolo, è ben più accentuato del monopolio sulle tecnologie e sui prodotti “duri”, quelli tradizionali, dall’edificio all’automobile.

A nostro giudizio, le difficoltà che incontrano i sistemi industriali deboli nell’entrare nei comparti delle tecnologie soffici derivano essenzialmente dalla natura “non industriale” della cosiddetta “industria del software” e più in generale dell’industria dei prodotti “leggeri”.

Un aspetto importante di questa natura non industriale delle tecnologie soffici e della produzione dei prodotti leggeri è rappresentato dalla diseconomia di scala dei costi di sviluppo rispetto alla dimensione del prodotto. È ben noto che il prodotto industriale classico è caratterizzato da economie di scala. Un aeroplano da 500 passeggeri costa meno di due aeroplani da 250 passeggeri ciascuno; una petroliera da 100.000 tonnellate costa meno di due petroliere da 50.000. La stessa economia di scala si manifesta sulle dimensioni degli apparati produttivi: una fabbrica che produca un milione di autovetture all’anno costa meno di due fabbriche da mezzo milione di vetture ciascuna.

Viceversa, il costo di produzione di un programma da diecimila istruzioni è più del doppio del costo di un programma da cinquemila istruzioni. Infatti, al crescere delle dimensioni di un programma cresce il numero dei sottoprogrammi da collegare, cresce clamorosamente il numero delle interconnessioni di questi moduli, cresce il numero delle cose di cui i programmatori debbono tener conto a mente correttamente, cresce il caos nella loro testa e ancor più nel team di progetto che sta sviluppando il prodotto.

Probabilmente il costo di sviluppo di un programma cresce con il quadrato delle sue dimensioni, per cui il prodotto da 10.000 istruzioni costa quattro volte il prodotto da 5.000. E certamente il numero dei bachi cresce ancor più rapidamente, forse con il cubo delle dimensioni, per la difficoltà crescente di collegare correttamente le unità elementari del programma.

Si noti che questa diseconomia di scala non si osserva nei processi artigianali di basso livello, dove, fra l’altro, si possono duplicare le risorse riducendo i tempi di sviluppo in proporzione, ma è tipica dei processi creativi di alto livello, dalla pittura all’architettura, dal romanzo al design.

Sfortunatamente, nel comparto del software e dei prodotti soffici in genere, a una natura non industriale dei processi produttivi corrispondono peculiarità dei processi distributivi sin troppo “industriali”. Il costo sul mercato di un’unità di prodotto di tipo tradizionale, come un televisore o un’automobile, in virtù delle economie di scala dei processi produttivi e distributivi, diminuisce al crescere del numero di oggetti venduti. In altri termini, i settori industriali classici sono caratterizzati da un’economia di scala anche rispetto alle dimensioni del mercato. Tuttavia, questa economia è limitata da uno zoccolo duro, costituito al minimo dal costo delle materie prime e dell’energia impiegate nella generazione di un’unità di prodotto.

Nel software questo zoccolo duro non esiste, perché il floppy disk o il CD- ROM che ospitano il programma, o la carta di un giornale, o l’energia necessaria per irradiare un programma televisivo, hanno un valore intrinseco molto piccolo. Di conseguenza, il costo sul mercato di un programma software, o di una trasmissione televisiva, o di un giornale, è una funzione rapidamente decrescente del numero di copie vendute: se lo sviluppo di un prodotto software è costato un miliardo, il costo dell’unità di prodotto è pari a un miliardo se vendo una copia sola, ma scende a un milione se riesco a vendere mille copie.

L’associazione perversa della diseconomia del costo di sviluppo sulla scala della dimensione del prodotto e della accentuata economia di scala rispetto alla dimensione del mercato, produce poi la peculiarità più importante del mercato dei prodotti dell’informazione. Per raddoppiare un programma che abbia già riscosso un certo successo sul mercato, si deve investire quattro volte di più di quanto si era investito nella prima versione, ma per continuare a venderlo allo stesso prezzo si deve poter contare su un mercato quattro volte più grande. Ricordiamo solo due delle molte conseguenze di questo meccanismo perverso.

La prima è la legge degli investimenti crescenti. Per restare sul mercato si deve investire sempre di più, molto di più. Con pochissime eccezioni, le risorse accumulate con un prodotto di successo non sono sufficienti per coprire l’investimento richiesto dalla versione successiva.

La seconda è la sindrome di Luciano. Pare che Pavarotti guadagni 500 milioni a sera, mentre il tenore numero 2 in Italia porti a casa la decima parte di Pavarotti e il tenore numero 20 canti gratis o quasi nel teatro della parrocchia. Bill Gates è diventato l’uomo più ricco della terra nell’arco di quindici anni, mentre migliaia di “software house” in tutto il mondo, e in particolare nel nostro Paese, chiudevano i battenti. Gli Stati Uniti hanno portato a casa migliaia di miliardi di dollari con la vendita di prodotti software, caratterizzati da un tasso di valore aggiunto pari al 100%, mentre paesi come il nostro, che pure rivendicano una presenza nel novero dei paesi più industrializzati, non riescono a esportare praticamente nulla in questo comparto. E non parliamo dei paesi poveri.

Trasferire una cultura, come è necessario per realizzare il progetto descritto da Jean Jacques Servan-Schreiber ne “La sfida mondiale”, è molto più difficile che trasferire un’industria manifatturiera. Pertanto, come è successo altre volte nella storia dell’umanità, l’avvento delle nuove tecnologie si è trasformato in un nuovo strumento di divisione e qualche volta di sopraffazione, in opportunità di arricchimento per alcuni e causa di impoverimento per altri. Le tecnologie soffici erano state presentate come angeli buoni destinati a portare il riscatto dei poveri, ma si sono rivelate demoni malvagi.

1.4 L’avvento del freeware

Nel 1990 uno studente ventenne dell’università di Helsinki, Linus Torvalds, che si diletta nello scrivere programmi per calcolatore trascurando lo studio, decide di comprarsi un computer nuovo. Ovviamente, gli elaboratori della classe del “mainframe” dell’università su cui ha imparato a programmare sono fuori della sua disponibilità, mentre il vecchio Commodore attaccato al televisore, che usa a casa da tempo, non gli consente di andare oltre il programmino giocattolo. I nuovi personal computer che montano il microprocessore Intel 386 sembrano rappresentare un ottimo compromesso fra costo e prestazioni, ma il sistema operativo che su di essi viene installato, il vecchio DOS di Microsoft, non gli consente di sviluppare software di alto livello, non permettendo in particolare di programmare “processi” concorrenti.

L’ideale sarebbe installare sul personal computer il tradizionale UNIX, uno dei più diffusi nel mondo, ma i 5.000 dollari di costo lo rendono inaccessibile. Cosi`, Linus decide di scrivere da solo il nucleo di un nuovo sistema operativo, un clone di UNIX, per dotare il personal computer delle funzionalità di base di un elaboratore di fascia alta.

Nella primavera del 1991 il nucleo del nuovo sistema operativo, versione 0.01, è pronto. Gestisce i “file”, ossia i documenti, e il “file system”, ossia l’organizzazione gerarchica dei documenti in cartelline e cartellone, con la stessa logica di UNIX, è dotato della funzionalità di emulazione di terminale e contiene alcuni “driver” di base per pilotare le unità periferiche. Sostituendo la consonante finale del proprio cognome con la “x” di UNIX, Linus battezza il suo prodotto “LINUX”, e fa cosi` una prima scelta felice. Ancora più felice e importante è la seconda scelta, quella di diffondere il nuovo sistema operativo su Internet, mettendolo a disposizione di chiunque sia interessato a utilizzarlo, senza chiedere altra contropartita oltre alla collaborazione per migliorarlo ed espanderlo.

Il suo invito è raccolto da centinaia di giovani programmatori in tutto il mondo, che nell’arco di pochi anni, in un telelavoro collettivo guidato da quello splendido organizzatore che si rivela Linus, trasformano un interessante prototipo scientifico in una vera e propria linea di prodotti industriali.

Oggi LINUX è operante non soltanto sull’architettura del personal computer Intel, ma anche su altre piattaforme importanti, come McIntosh della Apple e Alpha della Digital. Si calcola che sia stato installato su circa due milioni di calcolatori, che sono soltanto l’uno per cento del parco macchine dominato da Microsoft, ma che rappresentano forse la popolazione più acculturata del mondo degli informatici.

Quello di Linus Torvalds non è che un esempio di un modello di attività collettiva che vede nel mondo migliaia di protagonisti, da raffinati ricercatori a dilettanti appassionati ma talvolta superficiali, da singoli professionisti a vere e proprie imprese, da privati e piccolissime organizzazioni a grandi istituzioni pubbliche e grandi associazioni di imprese e istituzioni.

È nato cosi il “freeware”, software distribuito gratuitamente sulla rete, che chiunque, in qualunque parte del mondo, può acquisire in pochi minuti e fare proprio per eventuali correzioni, modifiche o adattamenti.

Non sempre il software acquisito dalla rete può essere liberamente commercializzato. Talora il progetto può essere utilizzato gratuitamente soltanto per un limitato periodo di tempo, oppure può essere utilizzato ma non rivenduto. Comunque, i prodotti più interessanti dai punti di vista “scientifico-tecnico” e “industriale-commerciale” sono “freeware completo” nel senso che sono distribuiti in forma sorgente e quindi possono essere modificati, corretti e adattati a specifiche esigenze; possono essere utilizzati in altri prodotti senza alcun versamento di “royalties” a chi ha sviluppato il prodotto; possono essere distribuiti commercialmente, ossia “rivenduti”, senza alcun limite; possono essere modificati e rivenduti senza alcun vincolo.

Abbiamo contato oltre cinquecento siti di Internet, ciascuno dei quali mette a disposizione dei visitatori moduli software e relativa documentazione completamente “free” per coprire una specifica area applicativa. Sono globalmente molti milioni di istruzioni, per l’equivalente, secondo la valutazione di alcuni studiosi, di oltre cento miliardi di dollari che sono comunque virtuali poiché i prelievi di software dai siti della rete non sono accompagnati da trasferimenti di valuta. Sul fuoco sacro della Rete si fonde l’intelligenza informatica mondiale riproducendo l’antico rito africano di quando ogni membro della tribù portava al pentolone il proprio contributo libero per il pasto collettivo.

2. IL PROGETTO FREEWARE

2.1 Obiettivi

Si è accennato nel precedente paragrafo 1.3 al fatto che importanti organizzazioni scientifiche si sono attribuite ruoli di razionalizzazione del “freeware” e coordinamento delle attività di sviluppo relative. Questo lavoro ha avuto comunque una prevalente caratterizzazione scientifica e non ha mai avuto finalità industriali.

L’obiettivo centrale del progetto qui proposto è invece rappresentato dalla sistematizzazione organica, a fini industriali, comprensiva del lavoro di certificazione e di ampliamento, ove necessario, del materiale disponibile. Il sogno è fare dell’Italia la capitale mondiale del “freeware”. Quattro aree di attività, concettualmente sequenziali ma praticamente interallacciate, caratterizzeranno il lavoro da svolgere.

Nella prima area si produrrà un inventario dell’esistente, insieme a una prima grossolana valutazione e classificazione. Il risultato del lavoro sarà rappresentato da un sito pubblico, dotato delle fondamentali funzionalità della sicurezza, e soprattutto della mutua autenticazione sito-visitatore con certificazione delle firme, contenente le informazioni di sintesi di ogni frammento significativo del freeware, insieme ai relativi puntatori in rete. L’informazione testuale sarà scritta in inglese, italiano, francese e tedesco.

La seconda area di attività avrà come obiettivi centrali la valutazione e la certificazione dei singoli prodotti o linee di prodotti. La valutazione sarà effettuata dal duplice punto scientifico-tecnico e industriale-commerciale, con enfasi sulle implicazioni di progresso scientifico, sulla rilevanza applicativa, sulla dimensione del bacino d’utenza potenziale.

In questa fase, si procederà separatamente per linee applicative verticali, selezionate sulla base dei criteri indicati e delle risorse disponibili. Nel paragrafo successivo sono indicati alcuni esempi non esaustivi di aree applicative su cui si propone di concentrare l’attenzione.

La terza area di lavoro, strettamente interconnessa con la seconda, sarà finalizzata alla produzione della documentazione e della manualistica dei singoli moduli software certificati. Tale documentazione dovrà riguardare sia gli aspetti delle funzionalità e delle prestazioni offerte dai singoli prodotti, sia quelli dell’operatività del codice sorgente. In altri termini, si dovrà consentire all’utente non professionale di utilizzare senza troppe difficoltà il programma applicativo, come ad esempio il sistema di videoscrittura, e si dovrà mettere il professionista software nelle condizioni di installare, correggere e modificare un sistema operativo o un ambiente di sviluppo.

La documentazione tecnica potrà essere prodotta solo in lingua inglese; quella funzionale dovrà essere scritta almeno in italiano, inglese, francese e tedesco.

Il risultato di questa terza area di attività sarà costituito da una serie di “compact disk”, uno per ciascuna linea di prodotti significativa.

La quarta area di attività, la più complessa e interessante dal punto di vista scientifico, sarà volta a completare le linee di prodotti disponibili con moduli nuovi, necessari per completare vere e proprie “suite” di sistemi operativi, strumenti e ambienti di sviluppo, sistemi per la gestione di basi di dati, ambienti di rete, programmi applicativi per l’ufficio o, al limite, per la gestione e il controllo di processi produttivi. Ovviamente, non si potrà coprire tutto l’universo delle aree applicative attualmente occupate dai molti programmi del mercato, ma si dovrà operare scelte precise, che tengano conto della rilevanza scientifica, della dimensione del bacino d’utenza, della fattibilità economica. Cosi`, pare opportuno orientarsi prevalentemente al mondo del personal computer, in considerazione della sua dimensione, e alle aree applicative delle reti, dei “data base”, dell’ufficio.

Eccezionalmente i sottosistemi attuati per l’integrazione di “freeware” esistente e di moduli nuovi sviluppati nell’ambito del progetto potranno prevedere anche un ruolo per prodotti disponibili sul mercato purché di basso costo per l’utenza e a condizione che i produttori coinvolti accettino l’integrazione del loro software nei nuovi strumenti.

2.2 Aree di attività

Senza pretendere di essere completi e, soprattutto, senza voler anticipare scelte di carattere strategico che competeranno alla direzione del Programma, si indicano alcune aree di intervento che mi paiono particolarmente interessanti dal punto di vista delle finalità indicate nel successivo capitolo 3.

Sistemi operativi

Ovviamente il mondo LINUX-UNIX sarà al centro del progetto, insieme all’universo dei “driver” e dei moduli collegati. Le estensioni che dovranno essere apportate a quel mondo dovranno andare nella direzione di rendere le interfacce di quel sistema operativo più amichevoli.
Tra i “freeware” già disponibili da cui si potrà partire per i nuovi sviluppi ricordo OffiX, scritto in C++ con l’aspirazione a divenire l’ambiente a oggetti per la costruzione di applicazioni interattive; wxWindows, una libreria di classi per compilare programmi grafici scritti in C++ per diverse piattaforme; General Graphics Interface, una riscrittura del sottosistema di console di LINUX; Fresco, un ambiente “object-oriented” per lo sviluppo di applicazioni a finestre, con bottoni e controlli vari, editori di testo e ricchi oggetti grafici.

Strumenti di programmazione

È una delle aree più interessanti dal punto di vista scientifico e più ricco di librerie e strumenti. Tra le più importanti si ricordano la libreria in linguaggio C della nota organizzazione degli utenti UNIX chiamata GNU e la Standard Template Library, una collezione di moduli in C++ contenente molti degli algoritmi centrali per la ricerca e l’insegnamento nel settore della scienza dell’informazione.

Ambienti di programmazione

Lo scenario del “freeware” in questa area è molto ricco di compilatori, “debugger” e strumenti vari. Si ricordano il Data Display Debugger, caratterizzato da un’elegante interfaccia grafica, che rappresenta le strutture dati come grafi; DOC++, un sistema di documentazione per i linguaggi C, C++ e Java; DJGPP, un ambiente di sviluppo per personal computer in DOS; Eli, una linea di strumenti della famiglia dei “translator writing systems”; CVS, un prodotto per la gestione delle varie “release” e varianti di un prodotto software.

Sistemi di videoscrittura e altri prodotti per l’ufficio

Costituiscono attualmente un mercato molto importante, in virtù della loro diffusione negli uffici. È molto difficile battere noti prodotti del mercato, ma la logica innovativa di LyX, e i grandi incrementi di produttività che promette potrebbero aprire importanti prospettive a una nuova linea di prodotti.

Una soluzione alternativa potrebbe essere rappresentata dall’arricchimento di TEX di interfacce più amichevoli e strumenti di semplificazione del suo simbolismo astratto. Anche altri prodotti per l’ufficio, come fogli elettronici, schedari, strumenti per l’archiviazione e la ricerca di documenti potranno essere ampliati per realizzare vere e proprie “suite” per l’ufficio. La difficoltà principale risiederà nell’integrazione di questi moduli fra loro e con il sistema di videoscrittura in un ambiente omogeneo per funzionalità e modalità di lavoro.

Sistemi per la gestione di basi di dati

È forse una delle poche aree ove attualmente il “freeware” appare meno competitivo dei noti prodotti del mercato. Si potrà e dovrà discutere se sia conveniente affrontare subito questo problema e non convenga piuttosto costruire strumenti “free” di interfaccia verso noti prodotti del mercato, purché economici. Si segnala comunque il Berkeley Database, che fornisce strumenti per la gestione di archivi sia in ambienti tradizionali sia in applicazioni “client-server”.

Strumenti per la grafica e il design

Sono molto numerosi gli strumenti per la manipolazione interattiva e la visualizzazione di immagini. Si ricordano, ad esempio, GIMP, che fornisce anche le funzionalità del ritocco di fotografie e di composizioni varie di immagini; FreeDesigner, uno strumento per il disegno e il progetto assistito dal calcolatore; Pixcon & Anitrol, un package per la visualizzazione e l’animazione tridimensionale. Anche questi strumenti, od altri della stessa famiglia, potranno essere integrati nella “suite” per l’ufficio.

Programmi per la sintesi di suoni, voce o musica

Sono disponibili programmi, come LilyPond, per la visualizzazione dello spartito musicale e la sintesi della musica; altri, come Audio Signal Processing Programs, per l’analisi di segnali acustici per mezzo di spettrogrammi e analizzatori di spettro; altri ancora, come Linus Phone Project, per comprimere il segnale vocale sino a 4800 bit al secondo, che potrebbero anche essere utilizzati per risolvere l’importante problema della “voice over Internet”.
Videogiochi e altre applicazioni multimediali
È un panorama molto ampio che comprende giochi tattici come Lincity o FreeCiv, simulatori di volo, come Xpilot, guerre spaziali, giocatori di scacchi, simulatori di tennis, ping-pong, ed altri. Di grande interesse scientifico e di notevole rilevanza applicativa per i servizi di videoconferenza e di “video-on-demand” sulle reti della prossima generazione appaiono i freeware” per la compressione di filmati secondo lo standard MPEG.

Strumenti per la gestione di reti

Molto del software utile per la gestione di reti di calcolatori e per l’attuazione dei protocolli di comunicazione appartiene al mondo del “freeware”. In particolare, forse la maggioranza del software di comunicazione per Internet – protocolli del mondo TCP-IP, strumenti di monitoraggio e gestione, moduli “proxy”, software dei “communication server”, “mail server” e “www server” come i ben noti Apache e Linbot – sono disponibili in forma completamente “free”. È noto, ad esempio, che alcuni “Internet Provider” utilizzano soltanto “freeware”.

Applicativi per Internet

L’importanza del “freeware” di questo settore, associato al ben noto quadro del mercato ove alcuni concorrenti aspirano all’egemonia assoluta, hanno portato alla distribuzione gratuita anche di alcuni prodotti commerciali, come i ben noti “browser”. A titolo d’esempio, si ricordano i lettori di posta elettronica Ultimate Mail Tool, Balsa, Petidomo (gratuito sino alla versione 1.3), MH Message Handler, Sendmail) e i “web browser” Arena, Lynx), Project Mnemonic, Amaya, Chimera, WebTk HTML Editor.

Un sottocapitolo a parte è costituito dalle macchine virtuali per Java, come Kaffe (www.kaffe.org) e Japhar (www.hungry.com), e i compilatori del linguaggio Java come Guavac. L’importanza di questo capitolo è anche dovuto al ruolo centrale che Java potrebbe giocare nel mondo del “freeware” come veicolo per il trasferimento degli “oggetti”, ossia delle unità fondamentali del software secondo il noto modello dell'”Object Oriented Programming”.

Software per la sicurezza

Il problema della sicurezza informatica è caratterizzato da molti aspetti, i più noti dei quali sono sicuramente la crittografia, la mutua autenticazione con la tecnica della chiave pubblica e della chiave privata e, strettamente legata all’autenticazione, la firma elettronica. Le ben note norme imposte dal Pentagono per ragioni di sicurezza militare, che vietano l’esportazione di programmi di crittografia con chiavi più lunghe di 40 bit e di programmi di autenticazione basati su chiavi più lunghe di 128 bit, hanno aperto uno spazio molto esteso ai programmatori europei e molto del loro lavoro è “freeware”. Per i limiti dei programmi americani, il “freeware” della sicurezza, come il ben noto PGP, è molto meglio del software commerciale.

2.3 Organizzazione del progetto

Benché l’organizzazione del progetto competa ai suoi futuri organismi direttivi, si ritiene opportuno sottolineare qualche aspetto importante della questione.
In primo luogo, per la sua stessa natura un progetto di questo tipo deve essere basato su una stretta collaborazione fra unità della ricerca pubblica e gruppi aziendali. Prevalentemente, ma non esclusivamente, ai primi competeranno i compiti della ricerca, della certificazione e della documentazione e ai secondi l’incarico di sviluppare le estensioni del codice e i nuovi moduli, mentre la consulenza alla direzione per la definizione strategica degli obiettivi sarà affidata a gruppi di lavoro congiunti.

Sfortunatamente gli utili per gli accademici derivanti dalla partecipazione al progetto, valutati in termini di pubblicazioni o crescita scientifica, potrebbero non essere adeguati all’impegno da spendere. Per questo sarebbe opportuno studiare un meccanismo compatibile con la normativa vigente, al fine di riconoscere un adeguato compenso economico ai dipendenti delle strutture pubbliche di ricerca.

Un secondo punto che dovrà essere valutato con attenzione concerne la valutazione e la certificazione delle varie attività che saranno svolte dalle unità operative del Progetto. Infatti, mentre la valutazione della qualità di un prodotto software può essere fatta sulla base delle sue funzionalità e prestazioni, e la stima del suo valore economico può essere formulata in termini di dimensioni, la valutazione della qualità e del valore economico di un lavoro di certificazione o di documentazione è compito molto complesso che richiede una specifica professionalità. Per questa ragione, sarà opportuno costituire anche gruppi di “certificazione di secondo livello”, con il compito di valutare tecnicamente ed economicamente il lavoro svolto nell’ambito del Progetto. Di conseguenza, le attività svolte dai vari gruppi accademici e industriali rientreranno nelle seguenti categorie.

Definizione strategica degli obiettivi

Un gruppo di lavoro, operante in stretto collegamento con la Direzione del Progetto, produrrà con continuità la fotografia del “freeware” esistente, fornirà una prima valutazione tecnica ed economica di ogni prodotto per confronto con i corrispondenti prodotti del mercato, suggerirà alla Direzione le aree e le priorità dell’intervento.

Certificazione di un prodotto “freeware”

Tale attività consisterà nel collaudo di un “freeware” e nella sua valutazione tecnica e funzionale. Il confronto con analoghi prodotti del mercato dovrà consentire l’identificazione di sviluppi successivi, necessari per l’ampliamento delle funzionalità e il miglioramento delle prestazioni.

Produzione della documentazione

Di un prodotto “freeware” si dovrà produrre sia la documentazione tecnica, necessaria per impostare gli sviluppi futuri e per integrare il prodotto con altri, sia la documentazione funzionale rivolta prevalentemente all’utente non informatico.

Sviluppo di nuovi moduli

Occorrerà sviluppare qualche nuova unità; più spesso si dovranno ampliare le funzionalità disponibili, soprattutto con l’obiettivo di rendere più amichevoli le interfacce e più facile l’uso del programma. Di particolare importanza sarà il lavoro di integrazione di componenti diverse, in modo da realizzare vere e proprie “collezioni” omogenee di programmi.

Certificazione di secondo livello

Per ogni unità di lavoro si dovrà valutare con attenzione, in fase istruttoria, la dimensione prevista e successivamente, in fase consuntiva, verificare la qualità del lavoro svolto e la sua rispondenza agli obiettivi predefiniti.

2.4 Durata e costo del progetto

La struttura modulare del progetto consentirà di dimensionare gli obiettivi in funzione delle risorse disponibili.
Una prima macrofase di attività, della durata di tre anni, consentirà di operare nelle aree indicate nel precedente paragrafo 2.2, con una spesa molto variabile in funzione del settore prescelto.
Mediamente saranno necessari circa 10 miliardi per ciascuna area tematica, per un costo complessivo di circa 100 miliardi.

La valutazione del costo di un’area tematica media deriva dalle seguenti stime:

  • inventario dell’esistente: 2 anni-uomo;
  • certificazione dell’esistente: 6 mesi-uomo per ciascun modulo acquisito, per un totale di 5 anni-uomo;
  • documentazione funzionale dell’esistente: 5 anni-uomo;
  • documentazione strutturale dell’esistente: 10 anni-uomo;
  • definizione degli obiettivi industriali del sottoprogetto, delle specifiche funzionali di ogni modulo e dei requisiti di concatenazione con gli altri moduli: 10 anni-uomo;
  • riprogettazione dei singoli moduli in un quadro di integrazione globale: 4 anni-uomo;
  • sviluppo di circa 40 moduli elementari, di lunghezza media pari a circa 10.000 istruzioni: 80 anni-uomo.

3. BENEFICI ECONOMICI ATTESI PER IL SISTEMA PAESE

Un primo ordine di benefici economici deriverà dal miglioramento della bilancia commerciale attraverso una drastica riduzione delle importazioni di prodotti software. La particolare natura del progetto, che ha, come primo obiettivo nel tempo, la valutazione di prodotti già esistenti e non lo sviluppo di nuovi, consentirà di ottenere questo primo ordine di benefici economici già nell’arco di pochi mesi. Al termine del progetto questo beneficio potrebbe essere dell’ordine di mille miliardi di lire all’anno o più.

Un secondo ordine di benefici economici deriverà dagli incrementi di produttività e dai miglioramenti della qualità del software applicativo prodotto dalle aziende italiane. Infatti, la produzione del software applicativo sopra gli strati di un “freeware” certificato, ben noto, disponibile in forma sorgente e quindi flessibile e modificabile, appare più semplice e più idoneo al rispetto dei dettami di una corretta “software engineering” che non l’utilizzo di strumenti del mercato venduti soltanto in formato eseguibile, poco trasparenti, chiusi e rigidi. Questo ordine di benefici appare di difficile valutazione economica; tuttavia, si tenga presente che i miglioramenti incideranno su un complesso di attività valutabili intorno a duemila miliardi di lire all’anno.

Un terzo ordine di benefici economici è connesso ai servizi di consulenza sul freeware, che costituiscono un mercato nuovo, appena sbocciato ma destinato a una rapida crescita. Un successo scientifico del progetto potrebbe attribuire alle aziende e alle istituzioni pubbliche del nostro Paese la “leadership” mondiale di questo mercato, con ritorni culturali ed economici di dimensioni difficilmente valutabili oggi, ma certamente molto importanti.

Colloco soltanto al quarto livello i benefici economici diretti che potrebbero derivare dalla vendita sul mercato internazionale dei programmi applicativi costruiti sul “freeware” di base. In effetti, nessun principio o norma giuridica vieterebbe di sviluppare software per il mercato utilizzando moduli “freeware”, e ciò potrebbe anche avvenire nell’ambito delle iniziative promosse dal programma nazionale qui proposto. Ad esempio, un’azienda che nell’ambito del programma avesse sviluppato un foglio elettronico per LINUX potrebbe offrirlo al mercato internazionale anziché esporlo gratuitamente nella vetrina di Internet. Tuttavia, non ritengo politicamente corretto che ciò avvenga. Scopo centrale del progetto deve essere l’estrazione e la raffinazione dei prodotti di quell’enorme miniera che ha il nome di “freeware”, ed è dovere del nostro Paese contribuire alla crescita di questo patrimonio collettivo rispettando la sua logica e la sua etica.

Per queste ragioni, i benefici economici derivanti dalla vendita di prodotti software costruiti sul mondo del “freeware” potranno essere prodotti soltanto da aziende che non godano di finanziamenti pubblici per questa iniziativa, oppure da qualunque soggetto dopo la conclusione del progetto. Infine, saranno enormi, anche se difficilmente valutabili, i benefici indotti sul medio e lungo periodo dalla crescita culturale collettiva che il progetto determinerà. Nel settore delle tecnologie soffici e in particolare nel comparto del software, nessun fattore di successo è più importante della cultura tecnico-scientifica, una cultura che deve essere vasta, profonda, estesa sul dominio professionale e sul territorio geografico, sinergica con gli altri capitoli del sapere tecnologico. In virtù della sua prevalente componente di studio rispetto a quella dello sviluppo, un progetto dedicato al “freeware” appare ideale per accrescere quella cultura collettiva delle strutture pubbliche e private della ricerca che è stata, ed è, uno dei fattori di successo più importanti dei sistemi industriali dominanti.

4. FREEWARE ED ECONOMIA SOLIDALE

Il successo del Progetto qui discusso potrebbe rappresentare una novità molto importante dal punto di vista sociale e politico. La riflessione sociologica degli ultimi anni ha conferito molto risalto a un terzo settore dell’economia, dopo il mercato e lo stato (2). È il settore del volontariato, che interessa oltre cinque milioni di italiani e comprende un ampio spettro di attività, dal lavoro, soprattutto femminile, nell’ambito della famiglia, all’assistenza agli anziani e ai malati. Si ricordano, per la loro notorietà più che per la loro effettiva importanza, i servizi di prossimità in Francia, le cooperative sociali in Italia, le attività comunitarie negli Stati Uniti e in Canada, quelle attività produttive e distributive di beni e servizi, orientate alla produzione di utilità che si collocano in uno spazio pubblico di prossimità meno interessato da interventi da parte dello stato e del mercato. I principi che regolano queste attività rappresentano una integrazione dei modelli economici di stato, mercato e solidarietà.

Sul piano delle concrete realizzazioni non è mai esistito un modello puro, ma indubbiamente il modello di economia monetaria e di economia mista monetaria e non monetaria nelle diverse articolazioni che si concretizzano nella formula “più mercato o più stato” hanno guidato l’organizzazione sociale ed economica moderna e contemporanea.
L’inadeguatezza di un modello improntato ad una pura logica di mercato e la crisi del “Welfare State” hanno riacceso l’interesse per forme di regolazione sociale in disuso come la reciprocità, il principio di regolazione economica e sociale proprio di sistemi istituzionali precedenti la regolazione del mercato, finalizzate alla creazione di una attività economica radicata in una relazione sociale, caratterizzata da forme di cooperazione e di solidarietà. E hanno messo in evidenza, come documenta un dibattito ormai ricchissimo l’importanza di un modello economico che integri principi economici, sociali e ridistributivi. La combinazione di queste tre principi costituisce il nucleo di una economia solidale riattualizzata da numerose pratiche sociali che si sono sviluppate in questi anni per rispondere ad una domanda sociale sempre più complessa e pressante soprattutto per quanto riguarda la richiesta di lavoro e di servizi sociali, esperienze che fondano la loro proposta di intervento concreto su un modello che concilia i valori di economia e solidarietà.

“La economia solidale si distingue per la sua prospettiva descrittiva e comprensiva”, scrive Jan Louis Laville (3), lo studioso francese che da anni analizza e teorizza questo modello, non è dunque una rappresentazione di quel che sarebbe auspicabile fare in termini di cambiamento delle finalità e dei modi di funzionamento di certe organizzazioni; essa costituisce un tentativo di problematizzazione di pratiche sociali che sono messe in opera per lo più localmente per rispondere a problemi locali.”

L’economia solidale non rappresenta una alternativa esclusiva, o la prospettiva più adeguata ad affrontare i problemi posti dalle mutate esigenze economico sociali, ma un modello di intervento e di riequilibrio sociale che si affianca e interagisce con il mercato e lo stato in un sistema di economia pluralistica.

Il “freeware” può essere collocato in questo nuovo quadro di un’economia solidale, indipendentemente dalle motivazioni o dalla vocazione di chi lo produce, innovatore intellettuale o mercante o francescano. Tuttavia, rispetto alle esperienze sopra citate, due novità importanti lo caratterizzano: la sua collocazione in un contesto internazionale e il suo fondamento tecnologico.

Sarebbe molto bello che l’Italia assumesse il ruolo di guida mondiale del “freeware”. Oltre ai benefici scientifici ed economici sopra elencati, il nostro Paese trarrebbe anche utili di immagine non effimeri.

RIFERIMENTI

    • J.J. Servan-Schreiber, “La sfida mondiale”, Arnoldo Mondadori Editore1980 S. Latouche, “Il pianeta dei naufraghi”, “La megamacchina”, Bollati Boringhieri Torino 1998.
    • K. Polany, La grande trasformazione, Torino Einaudi 1974.
    • S. Zamagni, Toward an Alternative Approachto the Economic of Altruism, in “Quaderni di economia e finanza”, IV, n.2 1995.
    • S. Levy, Hackers, Gli eroi della rivoluzione informatica, trad. it. Shake edizioni, Milano1996.
    • A. Caillè, Notes sur le concept d’utilitarisme, l’antinomie de la raison utilitaire normative e le paradigme du don, in “Revue de MAUSS”, n.14, IV trimestre 1991, pp.101-106; A Salsano, Per la poligamia delle forme di scambio, in G. Berthoud e altri, Il dono perduto e ritrovato, Manifesto libri, Roma 1994 e ancora J. Goudbout, Lo spirito del dono, Bollati e Boringhieri, Torino 1993.
    • M. Mauss, Essai sur le don. forme et raison de l’echange dans les societes archaiques, in “Annee sociologique”, 1923-24 ora in M. Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino1965; M.Douglas, Il n’y a pas de don gratuit. introduction à l’èdition anglaise de l’Essai sur le don de Marcel MAUSS, in “Revue du Mauss”, n.4 1989 (trad. inglese).
    • J. Louis Laville, L’economia solidale, Bollati e Boringhieri, Torino 1998 e M. Revelli, La sinistra sociale, Bollati e Boringhieri, Torino 1997

L'autore

  • Angelo Raffaele Meo
    Angelo Raffaele Meo è un informatico e accademico italiano. Professore emerito del Politecnico di Torino, in pensione dal 2010, è un pioniere dell'informatica italiana, noto per le sue posizioni a favore del software libero open source.

Iscriviti alla newsletter

Novità, promozioni e approfondimenti per imparare sempre qualcosa di nuovo

Gli argomenti che mi interessano:
Iscrivendomi dichiaro di aver preso visione dell’Informativa fornita ai sensi dell'art. 13 e 14 del Regolamento Europeo EU 679/2016.